FINCHE’ LA DURA!
di Paolo Abbate | BlogSi legge in un articolo di stampa che il sindaco del comune di Corleto Manforte, nel Parco nazionale del Cilento, vuole fare un referendum fra i suoi concittadini chiedendo se vogliono uscire o restare nel parco. Troppi vincoli e laccioli nell’area protetta. L’idea nasce dalla considerazione che spesso l’ente parco viene visto come una limitazione più che come un’opportunità. Difatti “la collocazione del proprio comune di residenza all’interno del Parco non sempre è vissuta dalle popolazioni interessate come un’opportunità di promozione del territorio o di miglioramento delle condizioni socio-economiche”. Mediante il questionario, al cittadino di Corleto M. si chiede “se può essere cambiato qualcosa, per fare in modo che il parco non sia visto come un peso ma come un’opportunità per il territorio”.
Paese con centro storico medievale restaurato sapientemente, un Museo Naturalistico con la ricca esposizione di vertebrati e invertebrati della fauna europea , boschi estesi tra gli Alburni e il Monte Cervati, , ricchi di betulle, castagni, aceri, abeti e faggi, natura ancora incontaminata e con una economia basata essenzialmente sull’agricoltura e sull’allevamento brado da cui si ricavano prodotti tipici di qualità. Ma i raccolti – lamentano i paesani - vengono divorati da cinghiali e cervi mentre l’Ente parco non risarcisce adeguatamente i danni.

Dal sito del comune di Corleto M.
Bisogna considerare tuttavia che l’introduzione di cinghiali non autoctoni, molto più prolifici dei nostrani, e di cervi nel territorio del Parco ha compromesso la catena alimentare che esisteva in natura. Inoltre il Piano Faunistico Venatorio Provinciale, che prevede la prevenzione e l’indennizzo dei danni arrecati dalla fauna selvatica, sembra proprio che non funzioni adeguatamente.
E’ dunque comprensibile che la popolazione locale, ridottasi negli anni dall’emigrazione per mancanza di lavoro, sia molto preoccupata e veda nelle istituzioni e soprattutto nel Parco la causa di tutti i mali.
Risulta tuttavia che Corleto rientra nell'Obiettivo "Convergenza” nella nuova Programmazione 2007-2013 della politica di coesione economica e sociale dell'Unione Europea. Tale obiettivo prevede l'impiego dei "fondi strutturali" europei puntando ad accelerare il processo di convergenza degli Stati membri e delle regioni in ritardo di sviluppo, migliorando le condizioni di crescita e di occupazione.
E’ possibile allora che paesani e sindaco desiderino una crescita e uno sviluppo ben diversi considerato che il rendimento delle attività agricole e zootecniche non riesce a contrastare il
fenomeno dell’emigrazione? E che siano nei loro obiettivi possibili anche nuove forme di utilizzo del suolo?
Uno studio del Wwf e del Fondo Ambiente Italia (FAI) “Terra rubata, un viaggio nell’Italia che scompare”, ci illumina sul preoccupante fenomeno, in atto da tempo, di consumo di suolo in danno dell’ agricoltura.
a 4.000 euro/anno esenti da tasse. Questo spiega le lenzuolate di pannelli fotovoltaici al posto di vigne e oliveti. Con questi rendimenti è facile comprendere le ragioni della rapida trasformazione dell’uso del suolo.
Un’altra causa di consumo di suolo – ci informa lo studio citato - è rappresentata dalla possibilità per i comuni di utilizzare fino al 50% degli oneri di urbanizzazione per pagare le spese correnti. In carenza di altre risorse questa norma ha incentivato da parte delle amministrazioni locali il cambio della destinazione d’uso dei terreni agricoli in aree edificabili anche in assenza di un reale fabbisogno al fine di aumentare le entrate nei propri bilanci per mantenere i servizi essenziali.
La perdita di suolo rappresenta ormai un fatto predatorio di terra fertile che sembra non potersi fermare . Si pensi che dal 1956 al 2001 questo fenomeno è aumentato del 500% e la Campania è al quarto posto tra le regioni più cementificate.
Il reverendo Thomas Malthus aveva previsto nel 1798 che la crescita della popolazione umana e quindi di sfruttamento di terra fertile avrebbe causato la fine dello sviluppo.
In attesa dell’anno 2050 fissato dall’Unione europea come termine tassativo di non edificazione su nuove aree, è necessario non solo mantenere le zone protette, dove vi siano previsti i vincoli necessari per non predare la natura, sostenendo tuttavia il reddito delle imprese agricole e riconoscendo economicamente il ruolo di presidio che gli agricoltori svolgono sul territorio: anche quello non produttivo come filari di siepi, alberate, boschetti, piccole zone umide, prati umidi stabili che garantiscono una adeguata diversità della matrice territoriale agricola in grado in questo caso di svolgere non solo un ruolo di antagonista all’espansione dell’urbanizzato ma anche quelle indispensabili funzioni ecologiche necessarie per la conservazione della biodiversità e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Predando come locuste gli ecosistemi naturali che ci danno da vivere facciamo come il serpente
della storiella.
Un serpente affamato si divorava la coda fermo sul ciglio della strada. Passa un contadino saggio e vedendolo esclama: finchè la dura!







