In risposta a quanti – e sono purtroppo ancora tanti – che credono che il territorio dove vivono, anche se parco nazionale, sia di loro proprietà esclusiva, penso sia giusto affermare che un parco naturale nasce per conservare quei lembi di biodiversità ancora esistenti, e come laboratorio per sperimentare un rapporto nuovo tra uomo e natura.
Invece, troppi cilentani – ma non solo loro – sono convinti che con la costituzione di un parco naturale arriveranno “soldi a palate” da Stato e Unione europea, così da trasformare un paese “arretrato” in un “paese dei Balocchi”, come sognato da pinocchio e da l’amico Lucignolo. Tutti, in vero, hanno il diritto sacrosanto di migliorare la propria vita, ma senza stravolgere il delicato tessuto di natura e coltura di un territorio, “proprietà” di tutti. Dove noi umani siamo ospiti e non padroni, è meglio dire.
Per conservare il territorio naturale si organizzano convegni (vedi “Ambiente e Legalità” a Pollica), si producono dossier di associazioni autorevoli (vedi WWF, Codacons, Legambiente) sul degrado ambientale.
Certo la ricerca con la necessaria raccolta dati è fondamentale: è alla base della soluzione del problema.
Ma si deve purtroppo constatare che questi rapporti sono costruiti a tavolino, come si dice. Non sono frutto di una ricerca sul “terreno”, non si procede cioè, salvo eccezioni, al controllo diretto sul territorio.
Si finisce pertanto a parlare su fatti avvenuti, ed a esprimere dichiarazioni d’intenti, seppur autorevoli.
Ultimo arrivato, il dossier di Legambiente su la situazione disastrosa delle coste italiane. Vi si tratta naturalmente anche del Cilento.
Emerge che in 20 anni sono stati cancellati da Sapri a Baia Domizia ben 181 chilometri di costa, causa opere infrastrutturali o insediamenti urbani. Insomma si sono salvati soltanto 162 chilometri di litorali, grazie “al loro profilo roccioso e alla particolare morfologia che rende complicata l’urbanizzazione”. Nel dossier si lamenta ancora il rischio incombente della sparizione delle coste basse per erosione marina. Le cause? Porti turistici (uno ogni 10 chilometri), barriere rigide e pennelli, che invece di risolvere il problema tendono a spostarlo altrove. “Sarebbe invece opportuno – consiglia l’associazione – il ritiro controllato, la ricostruzione delle dune, la rinaturalizzazione e il ripristino del trasporto solido dei fiumi”.
Parole sante, queste, ma se fosse stato fatto un giretto lungo questi litorali a rischio si sarebbe controllato dal vivo le cause denunciate a parole, spesso costituite da illeciti.
Mega porti a Acciaroli, Policastro, Sapri, per fare degli esempi, tutti a pochi chilometri l’uno da l’altro. Aree dunali erose da lidi balneari, e nessun controllo di chi dovrebbe, a Castellabbate, Centola, Vibonati, sempre per fare qualche esempio.
Fiumi sbarrati da spiagge artificiali, come sulla foce del Mingardo. Ma soprattutto colline, dolcemente degradanti sulla costa, abusate da speculazioni edilizie,
Associazioni importanti e ramificate sul territorio questo dovrebbero fare e denunciare in tempo alle Procure.
Forse qualcosa si potrebbe ancora salvare nelle aree protette e nelle zone sottoposte a vincoli.