Camerota è terra di miti e leggende
Chi ama percorrere a piedi quei sentieri che sono là dove sono non da anni o da decenni, ma da sempre, e da sempre fanno della montagna in cui si trovano una montagna amica, una montagna che si lascia attraversare, penetrare e vivere così naturalmente e dolcemente che, così facendo, libera la tua mente e fa volare il tuo pensiero per ogni dove, senza confini e senza vincoli, che fa di te una parte integrante della natura che ti circonda, e che ti mostra, senza alcun timore di cadere nella presunzione o nell’indifferenza, lo spettacolo superbo di un’alba e di un tramonto là dove il cielo si confonde, e si fonde, sull’ampia linea dell’orizzonte, non può non aver conosciuto il monte sovrastante Porto degli Infreschi e la Cala Bianca nello scenario unico che ci presenta il Comune di Camerota.
Ovunque si volga lo sguardo non c’è nulla che non ci appaia familiare, o che non ci faccia sentire nell’intimo di appartenere a quel mondo, il mondo della Magna Grecia che fu, di cui forse oggi non si parla più, ma che non scomparirà mai dai nostri cuori, dalla nostra memoria, dal nostro DNA.
Finanche i cespugli di mirto, lentisco, carrubi, ulivi e fichi selvatici, rovi di more e quelli di lische con i loro sottili steli verdi che spuntano immancabilmente tra quelli secchi, bruciati dal sole, dal vento e dalla salsedine, i tanti cardi rinsecchiti e le stesse pietre con il loro colore bianco inconfondibile ci appaiono come gli amici di sempre, gli amici che ci hanno accompagnato nel corso dell’intera nostra esistenza e che, se non li vedessimo più, capiremmo subito di essere finiti in un qualche mondo, bello o brutto che sia, che non ci appartiene e al quale noi non apparteniamo.
Il nostro incedere lungo i sentieri del territorio di Camerota è un continuo e incessante riportare al tempo presente il tempo che fu. I segni di quest’ultimo sono dappertutto. I muretti a secco, ben visibili tuttora dopo millenni, nonostante si confondano con i colori della natura, costruiti per raccogliere un po’ di terra per i vigneti, gli uliveti e altri coltivi, le cisterne in pietra per raccogliere le acque piovane, gli jazzi (da cui l’odierna parola addiaccio) per il riparo (parte coperto e parte scoperto) delle greggi con cinta in muretto a secco, i mini rifugi-depositi in pietra, sono ora parte integrante della natura e fanno sì che il nostro cammino per quei sentieri sia al contempo un cammino nello spazio e nel tempo.
Camerota staglia lassù il suo abitato sotto il sole d’agosto, un abitato che d’inverno si perde nelle nuvole che lo rendono invisibile, un abitato ad arco (kamaratòn, nome greco che significa costruzione ad arco) adagiato sulla roccia a strapiombo tra le rocce in uno scenario da inferno dantesco.
Ma non è tutto.
Perché Camerota è terra di miti e leggende. Il mito di Camerota è legato a quello della vicina Palinuro. Palinuro, nocchiero di Enea, s’innamora della dea Kammaratòn, che però lo ignora. Palinuro non si arrende e cerca di catturare l’immagine di lei riflessa nel mare. Venere, la dea dell'amore, impietosita da questa crudeltà, trasforma allora Kamaratòn in roccia.
Ora essa è là, e tende il suo sguardo sul mare, così come Palinuro è proteso verso l'azzurro in cui esso stesso è immerso. E così vivranno per sempre affiancati, separati da una sola lingua di sabbia bianchissima, che simboleggia la strada di un amore perduto.
Lassù, sulla roccia piana, sorge ora un borgo che dal mito trasse il nome.
Un mito, forse una storia, forse una leggenda. Per noi è una memoria. Una memoria che si perde nella notte dei tempi.
© Lucio Valerio Spagnolo
Camerota, 30 dicembre 2013
(foto da wikipedia, di Geofix)






