UN NUOVO LIBRO DELLA STORIA INFINITA DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA L’ALIBI MERIDIONALE DI GIANNI DONNO
di Giuseppe Lembo | BlogLa pubblicistica tra storia, cronaca e leggenda sul torto subito dal Sud post-unitario, sembra assumere sempre più il lungo corso di una telenovela infinita.
Tesi contrapposte vengono riproposte con una crescente condizione guerreggiata tra il Nord invasore ed il Sud vittima di gravi danni dovuti agli invasori predatori e saccheggiatori dei beni meridionali.
Anch’io ho scritto tanto sull’Unità d’Italia e sull’utilità dell’insieme italiano per il bene e soprattutto per il futuro di questo nostro Paese che non ne può più di contrapposizioni assolutamente sterili che hanno ormai abbondantemente superato i 150 anni di storia post-unitaria.
Purtroppo, questa tesi dell’utilità italiana di un’Italia unita, nonostante il tempo trascorso, ancora è motivo, a mio avviso, di pretestuose polemiche.
Forti le accuse anche nei miei confronti di tradimento meridionale; accuse stupidamente inopportune e sbagliate.
Non si può assolutamente mettere al centro dell’Unità del Paese, con grave danno per lì’Italia che verrà, presunti fatti che richiamano il “torto subito” dal Sud, dopo l’Unità d’Italia.
Purtroppo, secondo il mio punto di vista, dietro le nostalgie borboniche, abbiamo pensato a farci inopportunamente male ad un punto tale da ritrovarci a parlare ancora di un Sud marginale e fortemente arretrato.
Ma quali le cause di questa storica marginalità e di questa maledetta arretratezza meridionale?
Facendo finalmente giustizia delle tante idiozie scritte che hanno sempre e solo fatto perdere di vista l’importanza dell’Unità per un reale cambiamento e quindi sviluppo del Sud, i cantori eccellenti di predatori esterni responsabili del mancato sviluppo meridionale, hanno continuato a tessere la loro pretestuosa tela, senza pensare positivo e lavorare, producendo idee e creando percorsi per un mondo nuovo, per cambiare concretamente il Sud.
Tutto questo non c’è stato da parte dei tanti che, tra l’altro, molto inopportunamente hanno continuato a tessere le lodi dei Borboni, responsabili riconosciuti delle tante sofferenze meridionali.
Perché strumentalmente, quando si invoca il ritorno dei Borboni non si dice che all’epoca dell’Unità al Sud c’era l’83% della popolazione analfabeta? Perché non si dice che c’era, tra l’altro, tanta povertà diffusa; tanto degrado e tante sofferenze umane per effetto della malaria che falcidiava nei latifondi le popolazioni meridionali, mietendo vittime innocenti soprattutto tra i bambini?
Altro che rimpianto per i bei tempi dei Borboni! Avendo un minimo di onestà intellettuale, ci si dovrebbe interrogare a fondo e facendo il mea culpa dire la verità sui mali del Sud; dire solo la verità, senza false idiozie strumentali che non giovano alla verità storica ed ancor meno al futuro italiano unitario ed al suo possibile cammino di progresso che, oggi come allora, può essere immaginato per il futuro italiano, solo pensando positivamente all’insieme italiano.
In questo Sud ammalato di uomini, dove tante cose si dicono e si fanno facendosi male e facendo in modo di non cambiare niente, avallando l’arrogante potere della classe dirigente meridionale, la sola unica responsabile dei mali del Sud, è arrivato il momento di smetterla con le contrapposizioni sterili ed inopportune; è arrivato il momento di dimostrare saggezza e senso di responsabilità sia individuale che d’insieme.
Dicendo basta, alla guerra santa tra il Nord ed il Sud, dobbiamo da meridionali intelligenti, pretendere di camminare insieme per un nuovo Sud; un Sud capace di crescere in modo autocentrato e con l’attiva intelligenza dei meridionali, soprattutto dei giovani meridionali; con l’attiva presenza degli intellettuali e degli studiosi meridionali che vogliono assolutamente utilizzare il loro pensiero e le loro idee con attivo protagonismo, pensando di cambiare il Sud e facendolo crescere come si conviene.
Uno, recensito a parte, è un importante saggio sul Mezzogiorno del giovane storico abruzzese, professore all’Università di Barcellona, Emanuele Felice, dal titolo “Perché il Sud è rimasto indietro”, 2014 - Edizioni Il Mulino, dove l’autore sostiene che il Sud è rimasto indietro, perché nel Sud “dominano la criminalità organizzata, il clientelismo, la violazione del diritto”.
Tutte eredità del regno borbonico trasmesse al nuovo stato unitario, con una classe dirigente meridionale che trova la sua continuità storica in un mondo che dal barone borbonico è stato interamente ereditato dal mediatore politico dei giorni nostri.
Oltre a questo importante saggio di Emanuele Felice, ce n’è un altro, “L’alibi meridionale” di Gianni Donno, Edizioni Pensa-Multimedia 2013 - Lecce.
Anche il libro di Gianni Donno, è determinato nel superamento delle false ed inopportune polemiche sul torto subito dal Sud ad opera del Nord e soprattutto delle malefatte dei piemontesi, assunti a ladroni per le presunte ricchezze del Regno dei Borboni, trasferite nei forzieri della nuova Italia padrona del Nord.
Il libro di Gianni Donno, come lo è anche il saggio di Emanuele Felice, è un duro atto di accusa contro chi oggi al Sud ancora ed inopportunamente si attarda a recriminare sulle malefatte dei “piemontesi”, considerandoli responsabili di tutti i mali meridionali.
L’alibi meridionale del torto subito al Sud è e resta un solo alibi pretestuoso ed assolutamente infondato.
Donno con forza espone le sue idee e ben puntualizza che si è trattato di un alibi senza alcun concreto fondamento.
Donno si affida ad una solida documentazione, smentendo le tesi dei tanti che dall’epoca post-unitaria si sono attardati a scrivere dei torti subiti dal Sud derubato per mano dei piemontesi ladroni delle presunte ricchezze meridionali.
In apertura del libro Donno scrive che si tratta di un torto assolutamente infondato; di un torto del tutto inventato; di un torto smentito dalle inchiesta governative post-untarie che misero a nudo le profonde cause di arretratezza meridionale (dalla malaria abbondantemente diffusa in zone malsane, alle condizioni di profondo e grave malessere dei contadini, dai regimi proprietari della terra, alle vie di comunicazione, dall’analfabetismo, alle profonde condizioni di degrado e di arretratezza della vita sia per condizioni igieniche, che umane e culturali).
Un Sud del malessere da vero e proprio profondo rosso. Altro che benessere! Altro che ricchezza del Regno Borbonico!
Il ritardo del Mezzogiorno è dovuto ad altro; altre sono state le cause.
Si tratta di un ritardo con radici profonde nell’uomo meridionale e soprattutto nella classe dirigente del Sud che ha sempre oppresso e depresso la gente tenuta in condizioni di sudditi, per autoassolversi.
Un’autoassoluzione consolatoria che strumentalmente, anche da certi del pensiero meridionale, è usata abusandone, per giustificare l’incapacità diffusa delle tante manchevolezze alla base del mancato sviluppo meridionale e di tutte quelle condizioni ancora diffuse di arretratezza che non hanno permesso lo sviluppo del Sud in senso capitalistico avanzato.
In questi scenari tristi di un Sud senza sviluppo, lo statalismo diffuso, è diventato il vero grave male che ancora avvolge tutto di sé, con forme invasive di voto di scambio e di servile dipendenza politica.
C’è, tutt’ora, nella gente meridionale, l’attesa miracolistica della manna dal cielo; una vita da rassegnati, da assistiti, sono le vere cause del mancato sviluppo meridionale.
Tutto il resto è una favola; tutto il resto serve strumentalmente a capire le malefatte di chi tiene, oggi come 150 anni fa, sottomesso il Sud, da sempre sedotto, abbandonato e tradito, tra l’altro, da guerre umane senza alcun fondamento che mettono gli uni contro gli altri armati.
Molti studiosi hanno pretestuosamente diffuso certezze storiografiche di un Rinascimento, come “rivoluzione agraria mancata”, ponendosi così su di una posizione antiunitaria che ancora continua, facendo male al Sud, perché viene fortemente ostacolato nella sua giusta via dello sviluppo possibile, affidato, tra l’altro, alle risorse disponibili e soprattutto alle risorse energetiche rinnovabili.
Sarà a lungo il gramscismo, apertamente antiunitario, perché anticapitalismo e populista, in forte contestazione con le classi dirigenti dello Stato italiano post-unificazione, a favorire, per questi suoi obiettivi politici, facendo da cassa di risonanza, la protesta meridionalistica contro i piemontesi per quel torto subito, inventato più che vero, come risarcimento delle ingiustizie subite.
E così si regala, per lungo tempo, al Sud l’assistenzialismo come efficace rimedio di quel risarcimento a viva voce ed a lungo reclamato.
Il Sud vivrà di assistenzialismo in un abbraccio mortale con gli inganni di una politica-padrona che egoisticamente non ha mai cercato né voluto in senso industriale lo sviluppo dell’intero Mezzogiorno e tantomeno il cambiamento della sua gente da sudditi a protagonisti.
Ma di assistenzialismo si può anche morire, così come sta succedendo oggi al Sud che, senza sviluppo, si autodistrugge nelle povertà diffuse sia materiali che immateriali di un assistenzialismo ormai di fatto negato, perché l’Italia è sempre più povera e non ha più la capacità di fornire al Sud
quella sussidiarietà persistente e diffusa che non ha mai permesso al Mezzogiorno d’Italia di cambiare e tanto meno di svilupparsi in senso moderno, per una sua crescita garantita nel tempo e con il diretto protagonismo della gente, purtroppo, da sempre vittima di un sistema infame di un potere locale egoisticamente amante delle condizioni di sottosviluppo, per tenere la gene sottomessa e quindi cliente di un potere assolutistico, dannatamente infame.
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