Chi si è recato a Cuba in vacanza, subito è rimasto impressionato da un Paese rimasto “congelato in una grossa goccia di ambra russa (o meglio sovietica)”, con berline degli anni ’50, lasciate dagli americani, che percorrono le strade dell’Avana, gli edifici coloniali bellissimi ma in rovina, le code alle gelaterie (quelle per i cubani), la corte ai turisti in varie forme e maniere per procurarsi la moneta pregiata e per offrirsi come guida, la bramosia della tecnologia occidentale ecc.
Insomma la forzata autarchia socialista di 60 anni e l’imbarco americano sono serviti a mantenere sotto il controllo dello Stato il Paese e a non permettere all’isola di svilupparsi: almeno come lo intendiamo noi paesi occidentali.
Ma questo forzato “sottosviluppo” ha fatto di Cuba uno dei paesi più “sostenibili” del mondo, con “un’ impronta di carbonio e un consumo delle risorse bassi per gli standard internazionali e bassissima per quelli occidentali. Fatto del quale hanno beneficiato anche molti degli ecosistemi marini che circondano la più grande isola dei Caraibi, con enormi vantaggi per la vita acquatica di Cuba” (Greenreport – 6 marzo 2015).
Mentre negli ultimi decenni nei Caraibi scomparivano il 50% delle barriere coralline, Cuba è riuscita a mantenere intatti alcuni dei reefs corallini più incontaminati e ricchi di biodiversità del pianeta. Infatti “la bassa cementificazione costiera, il turismo limitato, le relativamente piccole quantità di reflui che finiscono in mare, gli stringenti controlli sulla pesca commerciale, e la creazione di ampie aree marine protette hanno finito per conservare a Cuba i più straordinari ambienti di barriera corallina dei Caraibi”. Al confronto delle barriere coralline dell’Australia, del Mar Rosso qui siamo ancora nel Paradiso terrestre.
Nel Parque Nacional Jardines de la Reina, ad esempio, il gioiello più splendido delle aree marine protette cubane, a 60 miglia al largo della costa meridionale di Cuba e che comprende una barriera lunga 30 miglia, si trova un ecosistema integro, “che ospita un’incredibile varietà di pesci tropicali e dove si possono trovare le cernie Golia, che raggiungono i 350 Kg di peso e 2,5 metri di lunghezza, e molti squali della barriera corallina”.
Ma che succederà dopo la fine dell’imbarco americano? Anche se il governo cubano ha promesso di proteggere il 25% del mare che circonda il Paese con riserve marine, ci sarà sicuramente un boom inevitabile del turismo e dello sviluppo edilizio costiero, un assalto alla pesca eccessiva e ad altri problemi dello sviluppo “capitalista”. Problemi che secondo il ricco “capitalista” ambientalista Wintner (ma anche il mio) “hanno richiesto un tributo pesante alle barriere coralline dei Caraibi e che non hanno certo reso gli abitanti di Haiti, Santo Domingo e di molti piccoli stati insulari dei Caraibi più ricchi, felici e socialmente sicuri dei cubani”.
Insomma, autarchia socialista con difesa degli ecosistemi naturali o democrazia con compromissione pesante degli stessi per una crescita economica di stampo occidentale?
I Cubani se li metterai al contatto del “benessere” occidentale ne faranno indigestione, cadendo inevitabilmente nei nostri tragici errori. Le così dette democrazie probabilmente potranno invece salvare il pianeta se adotteranno l’economia verde attraverso una visione biocentrica, che non consideri la tutela dell’ambiente in funzione dell’uomo, come pretendono la civiltà moderna e alcuni ambientalisti.
La svolta dovrà partire dal basso, cioè dalle realtà locali. La strategia è quella di “pensare globalmente ma agire localmente”, attraverso una “decrescita” che sia un scelta consapevole e non un’imposizione autoritaria.
I comuni virtuosi, che prevedono ad esempio l’obiettivo dei “rifiuti zero”, potranno essere la salvezza del pianeta.
Il Cilento, con la sua realtà del Parco naturale più blasonato d’Italia, ha le condizioni per avere la possibilità di essere il volano di questa svolta necessaria e inderogabile. Invece …. !