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Parlare un po’ di più, per favore, in italiano - #dilloinitaliano

📅 martedì 10 marzo 2015 · 📰 CulturaCilento

10032015 dilloinitaliano
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foto autoredi Paolo Abbate | Blog

Gira un po’ dovunque una petizione di Annamaria Testa a parlare un po’ di più in italiano. Più che una petizione è un grido d’allarme, con il quale concordo pienamente, per la moda ormai dilagante di usare parole, specialmente in lingua inglese, quando si potrebbe benissimo usare parole analoghe ma italiane.
Annamaria Testa giustamente osserva che la lingua italiana è la quarta più studiata al mondo. Oggi parole italiane portano con sé dappertutto la cucina, la musica, il design, la cultura e lo spirito del nostro paese. Invitano ad apprezzarlo, a conoscerlo meglio, a visitarlo. Quante volte mi sono sentito dire infatti da amici per esempio francesi o inglesi, che parlavano italiano, o erano venuti in Italia a studiarlo, quanto era bella la nostra lingua. Così musicale, gentile, varia di vocaboli e di espressioni.
Molte parole straniere, come computer, tram, moquette, strudel, kitsch non hanno corrispondenti altrettanto semplici ed efficaci , continua Annamaria Testa. Privarci di queste parole per un malinteso desiderio di “purezza della lingua” non avrebbe molto senso.


Ha invece senso che ci sforziamo di non sprecare il patrimonio di cultura, di storia, di bellezza, di idee e di parole che, nella nostra lingua, c’è già.

Mi reca un gran fastidio, fisico e mentale, ad esempio, sentire continuamente parole come “form” quando si può dire modulo, “jobs act” quando si può dire legge sul lavoro, “market share” quando si può dire quota di mercato. E via di questo passo.
Una cosa mi fa venire il prurito e voglia di sfasciare tutto, quando passo per la via e mi tocca leggere l’insegna bella grande di un negozio dove è scritto: “look and buy”. Chi pretende di impressionare il proprietario di quella bottega? Ma non poteva scrive ”osserva e acquista”, tu che passi per la via.?
Non parliamo poi del linguaggio del computer. Purtroppo lo hanno inventato gli americani con tutti i vocaboli annessi. Non si può proprio tradurli in italiano e bisogna impararceli così come sono: in inglese. D’altra parte anche gli stranieri usano parole italiane di cui non possono farne a meno come pizza, soprano, pianoforte, studio, mortadella, manifesto, studio eccetera.

dante alighieri


Chiediamo all’Accademia della Crusca – conclude Annamaria Testa - di farsi, forte del nostro sostegno, portavoce e autorevole testimone di questa istanza presso il Governo, le amministrazioni pubbliche, i media, le imprese. ” Le ragioni sono tante:

1) La nostra lingua è un valore. Studiata e amata nel mondo, è un potente strumento di promozione del nostro paese.

2) Essere bilingui è un vantaggio. Ma non significa infarcire di termini inglesi un discorso italiano, o viceversa. In un paese che parla poco le lingue straniere questa non è la soluzione, ma è parte del problema.

3) In inglese è facile usare termini in modo goffo o scorretto, o a sproposito. O sbagliare nel pronunciarli. Chi parla come mangia parla meglio.

4) Da Dante a Galileo, da Leopardi a Fellini: la lingua italiana è la specifica forma in cui si articolano il nostro pensiero e la nostra creatività.

5) Se il nostro tessuto linguistico è robusto, tutelato e condiviso, quando serve può essere arricchito, e non lacerato, anche dall’inserzione di utili o evocativi termini non italiani.
6)L’italiano siamo tutti noi: gli italiani, forti della nostra identità, consapevoli delle nostre radici, aperti verso il mondo“.

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