LA MEMORIA RIMOSSA:IL CILENTO DIMENTICA GATTO
Agropoli gli ha intitolato una scuola, il Liceo Scientifico, ed ha dato, così, il suo contributo alla civiltà letteraria del territorio. Paestum neppure una targa/ricordo. Eppure Lui ne ha scritto ampiamente in versi e prosa. Oblio anche a Castellabate, che fu cornice di una bellissima poesia d’amore. Silenzio a Velia, che il Poeta frequentò ed amò e ne liricizzò la bellezza di una notte d’estate. A Palinuro vi soggiornò a lungo nelle estati degli anni ‘60/’70 e ne interiorizzò emozioni materializzate in liriche straordinarie per immagini cariche di ricordi. Ma la città non si è ricordata di lui, né con una targa da murare a futura memoria del Suo passaggio, né con una serata di poesia, che pure gli sarebbe dovuta. Parlo di Alfonso Gatto, una delle voci poetiche più significative del novecento italiano ed europeo e di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. Il Cilento ingrato ne ha rimosso la memoria, tutto preso a consumare l’estate nell’esaltazione della stupidità delle sagre e a megafonare esibizioni chiassose di “divi”(!) della musica leggera o palestrati del Grande Fratello di passaggio per le nostre coste per la gioia di fanatiche supporter aspiranti veline, belle di gambe e prorompenti di seni, ma, spesso, vuote di cervello, a dimostrazione che viviamo in una società di “rachitici floridi”, belli fuori e malati dentro, come mi ripeteva spesso proprio Alfonso Gatto, lamentando il dilagare di una società senza cultura.
Io provo a colmare un vuoto, nei limiti delle mie capacità e possibilità. Sono convinto che mi leggeranno in pochi, ma ci provo lo stesso, per un atto d’amore dovuto all’Amico ed al Maestro, ma anche per una testimonianza delle enormi possibilità che la nostra terra è in grado di offrire se ha la fortuna di incrociare sulla sua strada un Grande Spirito, che ossifichi sulla pagina le emozioni a contatto con la storia, i miti e le seduzioni del paesaggio da Paestum a Palinuro. E prendo a prestito le parole del Vangelo, che resta pur sempre un grande libro di vita: “Et verbum caro factum est”, dando corposità e carnalità alla parola che fa ressa alle porte del cuore e della mente.
Punta Licosa è luogo di magia, soprattutto per gli innamorati, soprattutto se stelle e luna pencolano sugli aghi dei pini e nel sottofondo la risacca canta la nenia d’amore e morte della sirena gabbata da Ulisse pellegrino. Da un gesto comune di quotidianità estiva, come sgusciare e godere del sapore/ profumo delle patelle, il Poeta tira fuori una stupenda lirica ad esaltazione del sorriso della donna/compagna: “Tu dici: vedi le stelle già morte nel firmamento/..Tu vivi le gioie gioiose dei cenni che giungono a noi./Eppure all’aprire le arselle, in quel segno finito/che l’unghia penetra, incidi l’ansia di averle, ne succhi/ d’empito il gusto e ne ridi./…. Ancora s’apre all’aperto,/al conto degli occhi, la sola paura d’essere vivi,/mangiando al guscio le arselle, guardando le stelle”. Il Poeta la pubblicò con questa nota “La poesia è nata da una situazione reale. A San Marco di Castellabate, verso Punta Licosa, seduti su di un muretto del porto mangiavamo le arselle (le telline). ..Ci perdevamo nell’infinito, ma per ritrovarci in quel “segno” delle arselle, in quell’incidere dell’unghia”.
Più giù s’apre ariosa la Conca di Elea, dove la brezza ventila ricordi di sofismi di Parmenide e Zenone. Gatto ha memoria di una notte d’amore consumata a margine di mare nella cornice della grande storia:”Questa, delle mie mani, della voce, tenerezza di me che non ti giunge/or che partita porti via l’estate,/ è ancora il vento caldo che lasciammo/sulla spiaggia d’Elea/ Per una vita di silenzio il cuore/trovò parole e il prenderti per mano/dal mattino sui passi della sera/fu, nel tenerla, meraviglia nuova/d’aprire gli occhi, credere ad un sogno”:
A Palinuro Gatto passò più di una estate e vi visse amori intensi e ne sigillò le intensità in diverse liriche. Tra le tante schegge di sonorità poetiche mi piace stralciare questa:”Vedemmo l’alba sorgere dal capo/nero di Palinuro, sabbia rosa/d’argento inumidita dai piovaschi/di quella dolce notte. Il giorno aveva/un ardore di polvere raggiante/ai nostri passi:/ Il sapore del verde dei tuoi occhi/, l’ulivo, il dolce miele, la capretta/della tua lingua vivida di rosa/:Era del lungo esistere, da sempre,/la luce immediata che deflagra/nella zuffa ridente: dirittura/- a correrla d’un grido- l’avvenenza”.
Ce n’è abbastanza per rimuovere la memoria ed onorare un Grandi Figlio della terra salernitana. C’è qualche sindaco coraggioso, che, sfidando la impopolarità, distrae pochi fondi alla fiera della vanità dell’incultura e li destina ad una serata di grande poesia?
Non ho il piacere di conoscere il Presidente del Parco, ma mi dicono che non è insensibile ai fatti di cultura. Conosco invece la nuova amministratrice dell’EPT., Marisa Prearo, e la so attenta agli eventi letterari, di cui per il passato è stata attiva e motivata organizzatrice. Gli enti del turismo versano in gravi difficoltà economiche:è l’eredità pesante della gestione Velardi, che come assessore ha fatto più danni di una invasione di cavallette in un campo di grano. Siamo ormai alla liquidazione dissennata di quel poco di rete organizzativa diffusa su tutto il territorio regionale. Pur nelle ristrettezze economiche mi permetto suggerire all’uno e all’altra un omaggio al Poeta di Salerno non tanto e non solo per una serata dovuta, ma anche con una pubblicazione agile, che raccolga “IL CILENTO DI ALFONSO GATTO”, il meglio delle poesie e delle prose dedicate dal Poeta al nostro territorio. Giuseppe Liuccio







