La morte di Maria Rosaria Ferraioli. Autopsia: Un microembolo e una infezione diffusa
Un microembolo e una infezione diffusa sono stati individuati dai medici legali, che ieri hanno effettuato l’autopsia, sul corpo di Maria Rosaria Ferraioli, la giovane donna incinta morta all’ospedale di Scafati dopo un intervento chirurgico per asportare una cisti. Mentre i due gemellini che la donna aveva in grembo, dopo una verifica sui feti, sarebbero nati già morti.
L’autopsia è stata eseguita ieri in tarda mattinata all’ospedale di Nocera Inferiore. Ed è durata quattro ore. Il perito di parte (De Rosa) e medici nominati dalla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore (Zotti, Chiumento e il ginecologo De Masellis), insieme al dottor Mirabella (nominato dal ginecologo che aveva in cura la ragazza) dovranno ora attendere gli esami istologici che dovrebbero essere consegnati entro venti giorni.
Due mesi, invece, il tempo concesso ai medici legali per fornire una dettagliata relazione ai magistrati. Presenti dinanzi alla sala dell’ospedale Umberto I dove si è svolta l’autopsia c’erano tutti i familiari di Maria Rosaria Ferraioli. Il cui corpo, dopo, è stato trasferito nuovamente a Scafati prima di essere definitivamente liberato per poter consentire di organizzare i funerali. I magistrati titolari dell’inchiesta, Elena Guarino e Giancarlo Russo, stanno intanto proseguendo nell’azione di controllo delle cartelle cliniche e nella fase di interrogatori. E proprio ieri mattina, è stata ascoltata in Procura la teste-chiave: una ragazza poco più che ventenne, che ha condiviso la stanza nel reparto di Chirurgia con la 23enne. Una testimonianza avvolta dal massimo riserbo ma che avrebbe focalizzato l’attenzione sulle cure prestate dai sanitari alla giovane mamma e sulle modalità di azione del personale medico e paramedico in quelle ore che hanno preceduto il decesso di Maria Rosaria Ferraioli.
Il dilemma principale che dovrà essere sciolto dai magistrati riguarda il taglio cesareo che avrebbe dovuto salvare i gemellini. I piccoli sono nati morti. Ma lo erano già prima dell’intervento? E se così fosse, i sanitari potrebbe aver deciso in ritardo, rispetto ai quindici minuti necessari per intervenire dopo la morte della mamma? La cartella clinica resta, comunque, la chiave di lettura del decesso. Come l’altra corposa documentazione che i carabinieri stanno sequestrando nelle ultime ore oltre ad ascoltare altri pazienti presenti in reparto. Ma è proprio sulla cartella clinica, e sulle firme modificate denunciate dalla sorella della vittima, che gli inquirenti stanno lavorando.
Rosa Coppola





