POPOLAZIONI INDIGENE, AUTENTICHE ECOLOGISTE
di Paolo Abbate | BlogL’uomo “civilizzato” insomma è quello che, con la sua cultura dominante basata sul libero mercato e la corsa verso la ricchezza facile e il massimo profitto, sta distruggendo gli ecosistemi naturali sui quali tutti dipendiamo per vivere.
Questa aggressione del pianeta cominciò grosso modo con la rivoluzione industriale a metà del Settecento, e da allora non si è più arrestata. Qualcuno però, già a metà Ottocento, si accorse della pazzia che si stava consumando nel civile occidente e, come Henry David Thoreau, filosofo, scrittore e poeta statunitense, decise di trascorrere molto tempo nei boschi per imparare a vivere a contatto della natura ed a rispettarla.
Thoreau però, in questa ricerca del proprio io interiore, si rese conto anche come ognuno di noi “resti inevitabilmente parte della società, anche quando tenta di allontanarsene”. Aveva rimosso cioè, attraverso la solitudine, la sua coscienza sociale, che tuttavia ritornava per così dire a galla.
Non a caso la sua seconda opera si titola “Civil Disobedience”, in cui maturò la convinzione che come individui abbiamo una responsabilità verso la società e pertanto occorreva combattere contro la pazzia del suo mondo e, a maggior ragione di quello ancora più distruttivo di oggi. Dalle sue riflessioni si ispirarono forse i movimenti di resistenza dei moderni ecologisti.
Quante volte abbiamo sognato – almeno a me succede spesso – di andare a vivere in un’isola deserta, in una capanna di frasche o in una grotta come, ad esempio, successe a Robinson Crusoe suo malgrado però. Certo c’è una bella differenza tra Thoreau e Defoe che visse nei primi del ‘700 e rispecchia quindi la mentalità individualistica e puritana (Robinson si vergognava della nudità di Venerdì e subito gli adattò un bel paio di brache) che è alla base della società borghese e capitalistica che in Inghilterra sta muovendo i primi passi”. In quella società cioè rifiutata da Thoreau.
Se fosse vissuto adesso Thoreau, precursore dell’ecoresistenza, sarebbe andato sicuramente tra gli aborigeni australiani che stanno combattendo per fermare la costruzione della miniera di carbone Carmichael. Relegati dal governo in riserve, cancellando così le tradizioni, le leggi e la cultura, le popolazioni indigene si sono subito mobilitate per difendere le proprie terre ancestrali - è prevista la distruzione di circa 28 mila ettari di foresta - dalla deturpazione e dalla distruzione ambientale. Il governo australiano ha preferito il carbone alla barriera corallina più grande e completa del mondo!
Ma gli aborigeni australiani non sono i soli ecoresistenti di oggi. La popolazione (almeno 8000 persone) dei Dongria, una delle più isolate dell’India, vive nello Stato di Odisha e sta lottando, rischiando la propria vita, per difendere le colline sacre di Nivamgiri dai tentativi di costruire nuove miniere. Se accadesse, la popolazione perderebbe i propri mezzi di sussistenza, la propria identità.
Purtroppo dove non vi è stata resistenza ecologica, forse perché attirati dalla facile ricchezza offerta dalle società minerarie, che estraggono il fosforo solido nel loro piccolo atollo in pieno oceano Pacifico, non solo la terra e l'economia degli isolani hanno subito una autentica devastazione, ma anche la loro salute. Succede a Nauru, la più piccola repubblica del mondo: un territorio grande circa 21km quadrati. I nauruani sono tra le persone “con i più alti tassi di obesità e diabete nel mondo. Il 94% dei suoi residenti sono in sovrappeso mentre il 72% è obeso. Più del 40% della popolazione ha il diabete di tipo 2, così come altri significativi problemi alimentari legati come le malattie renali e malattie cardiache”(G.C.- GreenMe -16 giugno 2015).

Insomma, quello che è accaduto in quest'isola è forse solo uno dei tanti esempi dello scempio provocato dall'uomo e di cosa la corsa verso la ricchezza facile può causare.
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