LA FORZA DELLE DONNE IN NOME DI IPAZIA CONTRO LA VIOLENZA E PER LE PARI OPPORTUNITA'
Forse la stragrande maggioranza lo sa, ma, comunque, è utile ripetere, per la piccolissima minoranza che lo ignorasse, che la data dell'8 marzo ufficializzata a livello internazionale come Festa della Donna richiama alla mente la tragedia avvenuta, proprio in questo giorno, nel 1908, quando, per un incendio, ritenuto doloso, nei capannoni dell'industria tessile Cotton, a New York, 129 operaie persero la vita arse vive. Il proprietario dello stabilimento chiuse le porte impedendo che le operaie in sciopero potessero uscire. Di qui la tragedia che consacrò le vittime a martiri del lavoro, simbolo della lotta per l'emancipazione femminile in tutti i campi. Sarebbe opportuno che non dimenticassimo mai le motivazioni serie della Festa, ad evitare che l'evento fosse solo pretesto per la esaltazione e la celebrazione frivola del consumismo. E' opportuno e necessario, perchè le motivazioni serie per sottolineare con forza i tanti diritti al femminile non mancano neppure oggi; purtroppo.
Io, che da buon magnogreco di Poseidonia/Paestum mi sono formato agli studi classici e vanto con legittimo orgoglio una visione laica e sanamente pagana della vita, sottopongo alla riflessione delle amiche lettrici, innanzitutto, ma, ovviamente, non solo a loro, alcune schegge di quel mondo.
Nella pianura pestana, che fu approdo degli Achei con il pietoso carico del pantheon di lari e dei, Era Argiva, che fu, poi, Cerere e Cibele, testimonia con templi maestosi, metope votive e pitture vascolari la mitizzazione della donna/dea pronuba di fecondità. Sulla collina del Calpazio, dalla cattedrale/santuario, la mano di una Madonna espone, dalla prigionia di una nicchia, un "granato" esploso nel riso della maturazione. E i chicchi (rosso,rosa, viola con striature di bianchiccio)reiterano il miracolo perenne della vita. E quei colori adombrano la ciclica ferita del mestruo, che fu demonizzato a stigma di lordura e di peccato e dose di intrugli di megere/fattucchiere nel medioevo dell'ignoranza e della superstizione, e si nobilitano e si esaltano nel rito della fecondità, che vede la donna, oggi come ieri, dea e madonna della procreazione e della perennità della specie.
E dalle pagine di storia dei nostri Padri emergono e brillano di luce eterna Saffo "la dolce", libera nel libero amore nella complice familiarità del tiaso a slancio di volo alto della grande poesia, Teano la pitagorica, che esercitò rigore di ricerca, Gorgo la spartana, vestale dell'eunomia e del buon governo, Aspasia che rese grande l'Atene di Pericle, Lisimaca la sacerdotessa, che esercitò con equilibrio e lungimiranza il suo magistero/ministero a vita, una sorta di papa al femminile, Neera la cortigiana, colta e raffinata nell'arte del sedurre quanto nell'abilità di conversare, padrona di tutte le arti.
E, restando ancorati al mondo classico, possiamo fare riferimento all'Odissea, il più grande ed insuperato poema/romanzo di tutti i tempi nel quale la donna è coprotagonista/simbolo delle stagioni della vita e dell'amore: Nausicaa, stupita e trepida ai primi fremiti del cuore, Calipso che si macera nelle sospirose sdolcinature del sentimento possessivo,le sirene maestre nell'arte del sedurre con la sinuosa ambiguità del corpo e la malia del canto, Circe vorace nella carnalità della passione, Penelope prigioniera della incrollabile ed inespugnabile fedeltà coniugale.E quando gli antichi immaginarono di trasferire nel pantheon dell'eternità la potenza serenatrice delle arti, della poesia, della danza, della musica, ecc. non trovarono di meglio che materializzarla nelle figure delle Muse, le donne/dee, simbolo di eleganza, armonia, buon gusto e bellezza.
Il suo martirio si ripete, con nomi diversi, ogni giorno e in luoghi diversi dove ancora si perpetuano i delitti contro la dignità e i diritti delle donne.L'augurio è che sia questo il senso vero di una ricorrenza, che assume i contorni di festa.
Ma c'è anche una forma più sottile di violenza che assume forme plateali nella sfacciata violazione della legge per le Pari Opportunità nel mondo del lavoro, a tutti i livelli, e, soprattutto, nel mondo politico, dove persistono le incrostrazioni secolari del maschilismo, che ignorano le "quote rosa", pervicacemente impudenti nel farlo. .
Un motivo in più per agitare ancora la mimosa come bandiera/simbolo di lotta, come scrivevo molti anni fa in una mia poesia. "E la mimosa tenera/si carica di lotta/nelle tue mani giovani/Il ciuffo giallo-tenue si rifrange/ alla vampa del volto/ ed è bandiera/al coro del corteo/è distintivo altero/al seno ancora acerbo che trionfa/su secoli di streghe e di madonne".
E la carezza di un ciuffo vellutato di mimose è la risposta della grazia, della dolcezza, della tenerezza, qualità tipiche della femminilità, alla brutalità della violenza del maschilismo. E' l'arma della bellezza per sconfiggere la rozza arroganza della forza fisica.
Articolo del professore Giuseppe Liuccio







