Vallo della Lucania: «Morì di polmonite, i medici dicevano che era Aids»
Aveva 30 anni Cosimo Calabrò quando fu colpito da febbre alta e nausea. Era pieno inverno e il medico curante non ebbe dubbi: influenza. Ma erano ancora gli anni della caccia alle streghe, e quel malanno - che in realtà era una broncopolmonite da pneumococco - portò Cosimo alla morte perché la febbre saliva, il ragazzo peggiorava e si sparse la voce che era ammalato di Aids, motivo sufficiente per non indagare oltre. A quasi dieci anni di distanza - era il 12 gennaio 1999 - la sorella Anna si rivolge a “Dillo al Messaggero” per raccontare quei giorni frenetici e senza speranza accanto al fratello morente.
«Il medico di base, dopo due giorni di febbre alta ci disse di portarlo al pronto soccorso dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania - racconta Anna che vive a Nettuno, mentre il fratello abitava a Cerase, in provincia di Salerno -. Lì ci chiesero subito se aveva l’Aids, noi rispondemmo di no e che comunque il suo stile di vita non ci faceva pensare a quella malattia, ma lo ricoverarono ugualmente nel reparto di malattie infettive e tropicali. Gli fecero esami di routine e dalla radiografia venne fuori che aveva una broncopolmonite, ma le cure erano scarse anche se un medico mi disse che aveva a disposizione l’ossigeno. Io lo vedevo soffrire, non riusciva a ingoiare niente, era disidratato. La sera del 16 gennaio chiamai a raccolta i medici per farmi aiutare, ma gli dettero solo delle gocce per farlo dormire. Io non chiusi occhio, alle quattro della mattina successiva parlai con il medico del reparto che, vedendo che la situazione di Cosimo stava precipitando, mi disse: “Visto come vanno le cose di questi tempi è meglio fare il test dell’Hiv”. Allo otto mi chiesero di andarmene, Cosimo stava morendo, lo portarono in rianimazione e alle tre del pomeriggio mio fratello ci lasciò per sempre. Due giorni dopo ci dissero che la causa era una broncopolmonite da pneumococco e che Cosimo non era ammalato di Aids».
Anni di caccia alle streghe - che Anna ancora rivive in una causa giudiziaria che non le ha dato però soddisfazione. Anni molto lontani da questi, in cui l’Aids non fa più paura. Lo testimonia la ricerca della Swg -commissionata dal network Persone Sieropositive (Nps) - presentata in occasione della Giornata mondiale sull’Aids che si celebra domani e che vede gli italiani molto più preoccupati per la crisi economica (51%) e per la disoccupazione (33,1%) che non da quella che veniva chiamata “la peste del secolo”. Oggi solo un italiano su cinque la teme (fanno più paura il tumore e la demenza senile) e il 64% degli intervistati dichiara addirittura che non fa più notizia. In questa ottica è interessante osservare come un falso senso di sicurezza predomini insieme alla convinzione che la malattia non riguardi noi, ma gli altri. Così 64 italiani su 100 ritengono che l’Aids abbia modificato la vita sessuale delle persone portandole a comportamenti più responsabili, ma solo il 25 per cento dichiara di avere cambiato le proprie abitudini sessuali. E comunque, ancora in pochi prendono le dovute precauzioni.
Ma chissà se i numeri possano ancora fare ragionare: di fronte a un calo di infezioni dal 2001 al 2007, nel mondo ci sono ancora 33 milioni di persone affette da Aids e solo nel 2007 la malattia ha causato due milioni di morti - come si evince dal Rapporto globale sull’Aids delle Nazioni Unite. E se in sei anni i casi di infezione di Aids sono calati da 3 milioni a 2,7 milioni, non bisogna fermare la lotta alla malattia, anche perché in Paesi come Cina, Indonesia, Kenya, Mozambico, Papua Nuova Guinea, la Federazione Russa, Ucraina e Vietnam le infezioni sono in aumento.
Il rapporto delle Nazioni Unite evidenzia che l’epidemia globale si è stabilizzata in termini di percentuale di persone infette, con quasi 7500 nuove infezioni ogni giorno, mentre è in calo il numero di nuove infezioni tra i bambini, negli ultimi due anni, passato da 410.000 a 370.000. di Elena Castagni







