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Guarrazzano al suo quarto compleanno dopo il millennio

📅 giovedì 24 ottobre 2013 · 📰 CulturaCilento

24102013 stella cilento

Nel 2009 il Comune di Stella Cilento ha pensato bene di celebrare il millennio della sua frazione Guarrazzano (Guarazar, nome longobardo). Storici e appassionati del territorio, uomini di cultura umanistica e rappresentanti del mondo politico hanno esposto al pubblico le loro teorie e i loro commenti in più riprese al chiuso, nelle varie sale di cui il Comune dispone, e all’aperto, in piazza. L’iniziativa, voluta dal Sindaco Antonio Radano, ha registrato l’attenzione e l’interesse del pubblico intervenuto in tutti i momenti delle celebrazioni sia al chiuso che all’aperto.

Potremmo pensare che con il 2009 la frazione Guarazar è diventata maggiorenne e da allora, di anno in anno, ha preso l’abitudine di non lasciar passare inosservati i suoi compleanni. E quest’anno ha celebrato il suo quarto compleanno (dopo il millennio).

E’ stato bello sapere che la frazione è diventata maggiorenne ed è davvero bello constatare che, ogni volta che compie gli anni, si ritrova in presenza di un pubblico sempre più numeroso.


La distinzione che si fa abitualmente tra frazione e Comune ha un naturale sapore amministrativo che, per chi scrive, non ha un significato rilevante, dal momento che, frazione o Comune, si tratta in ogni caso di un paese, un paese più o meno piccolo o più o meno grande. Guarazar fa parte del Cilento, e nel Cilento i tanti paesini che lo costituiscono hanno, quasi tutti, un numero di residenti minore di mille. Meno di mille residenti (centro e frazioni) per paesini che, chi più chi meno, sono lì da un millennio!

Nel corso del XX secolo, com’è noto, è continuato il processo di aggregazione -tuttora in corso- esistito in ogni epoca, tra realtà politico-amministrative, per dar vita a Unioni (come gli Usa, l’Italia, l’Unione Europea, ecc.), di maggiori dimensioni, in cui si sono fusi, pacificamente o bellicosamente, i precedenti Stati. E parallelamente è cresciuto il timore della scomparsa delle piccole realtà come lo sono i paesini del Cilento. I quali, incredibilmente, sono sempre lì dove sono stati da tempo, e che mentre danno l’impressione, specialmente al viaggiatore di passaggio, di una precaria esistenza, in realtà non sembrano avere nessuna intenzione di voler scomparire.

Le celebrazioni del millennio, infatti, non echeggiano le note del De profundis. Al contrario, esse comunicano a chi non ne fosse informato, che quei tanti paesini del Cilento sono in realtà un presidio inestinguibile di testimonianza della continuità dell’evolversi di civiltà susseguitesi di epoca in epoca, un’evoluzione che, vivendo intensamente il presente storico, mantiene salde le radici del passato e contribuisce a creare, nelle forme e nei modi più diversi, il futuro delle società alle quali le popolazioni di quei paesini appartengono. D’altronde, quanti sono finora i paesi scomparsi nell’intera area del Cilento? O meglio, ne è scomparso qualcuno? E se è scomparso, per quale ragione è scomparso?

La loro forza, a ben vedere, risiede nel naturale e fisiologico mantenimento, e rispetto, di quel trait-de-liaison, di quel filo conduttore, che individua l’essenza stessa del vivere umano. Un filo conduttore che fa sì che l’avvicendarsi delle nascite e delle morti sia vissuto con la naturalezza del processo fisiologico che distingue la vita degli esseri viventi.

Mille e più mille ragioni di opportunità, di convenienza, o di necessità, determinate dal lavoro svolto, dall’organizzazione sanitaria, dal costo dei trasporti, ecc. fanno sì che le nascite, quali che sia la provenienza dei genitori, avvengano nei centri urbani, più organizzati, mentre le morti dei residenti di età vetusta avvengano nei paesini. Sicché il saldo naturale tra le nascite e le morti -e i registri demografici comunali lo testimoniano impietosamente- è quasi sempre, o meglio è sempre negativo.

Ciò, tuttavia, non è abbastanza per decretare la scomparsa dei paesini. Questa, infatti, è il risultato di tante concause, tutte importanti, non c’è dubbio. Tra esse, una ha, per così dire, una valenza maggiore: quella della volontaria cessazione -nella mente di coloro che, per ragioni diverse, nati nei paesi abitano ora in città, e di coloro che sono nati in città da genitori provenienti da quei paesi- del ricordo del proprio paese.

Questa causa, quando si verifica, non è superabile: basta, anche da sola, a far scomparire un paese. Affinché ciò avvenga, essa deve essere reale e condivisa da tutti coloro che ora risiedono altrove e dagli stessi residenti. Gli uni e gli altri devono dar prova di aver perduto ogni cognizione delle loro origini e soprattutto ogni desiderio di, e interesse a, ricordarsene. Non è cosa da poco. Senza di essa, un paese, piccolo che sia, non scompare. E poiché è innaturale che questa causa si verifichi, è naturale che i paesi non scompaiano, ma sopravvivano al tempo dei loro stessi residenti, ovunque essi si spostino nel corso della loro esistenza.

Anche quando si taglia il tronco di un albero per ragioni diverse, le sue radici restano nella terra, coperte dalla terra. Da quelle radici, ancora vive, spunterà un germoglio. Quel germoglio diventerà un albero. Un albero che farà sopravvivere quello che c’era prima. Quello che c’era prima rivive nel nuovo e le stesse radici di prima non avranno fatto scomparire quell’albero. Così, se le radici continuano a vivere sotto terra, una nuova generazione sarà il germoglio che farà sopravvivere il paesino. Il paesino scomparirà se, e solo se, si estinguono le sue radici.

I forestali ci insegnano, inoltre, che in un bosco è necessario tagliare qualche tronco per consentire ai nuovi germogli di spuntare e di svilupparsi. Il taglio di quei tronchi (la scomparsa di alcuni residenti) rigenera il bosco (il paesino) di generazione in generazione e il paesino, che non è mai lo stesso, si rinnova piuttosto che scomparire.

A ben vedere la scomparsa del paesino è uno pseudo-problema. Il vero problema è la qualità della rigenerazione, qualità che, nel rinnovamento del bosco (del paesino), non sarà mai identica di generazione in generazione. E niente e nessuno è in grado di predire che essa (la qualità) sarà migliore o peggiore di quella della precedente.

Ogni generazione presenta il suo mondo. E il mondo che ogni generazione presenta alla storia non è mai identico a quello presentato da altre generazioni. Senza andare molto indietro nel tempo, sappiamo tutti che i paesini del Cilento facevano parte della Magna Grecia prima, della Lucania storica poi. La struttura economica muta necessariamente di epoca in epoca. Se l’uso del legno è diffuso in molti settori, i boschi saranno tagliati. Se ferro e plastica sostituiscono in gran parte il legno, non ci si potrà sorprendere nel veder avanzare la superficie boschiva. Se la principale attività economica delle popolazioni di montagna è l’agricoltura, uliveti e vigneti perfettamente tenuti caratterizzeranno il paesaggio. Se per un processo naturale, e per una precisa politica economica, si tende a valorizzare il turismo, fioriranno ristoranti, agriturismi, B&B, prima sulla costa, poi nelle zone più interne. E via via si assisterà al rilancio delle peculiarità culturali, alla cosiddetta riscoperta del mondo che c’era e che ora non c’è più. Tutti i centri abitati, prima o poi, subiranno modifiche di adeguamento agli standard imposti dall’epoca in corso. E pian piano si tenderà a curare, risorse finanziarie permettendo, il ripristino, in chiave contemporanea, degli immobili, e l’urbanistica nel suo insieme, in funzione delle esigenze culturali, del nuovo stile di vita, della funzionalità, della disponibilità delle nuove tecniche.

Non ha senso reiterare all’infinito l’adagio secondo il quale i paesini sono destinati a scomparire perché le nuove generazioni non svolgeranno, né intendono svolgere, né hanno le competenze per svolgere le attività svolte da quelle precedenti. Né che, in seguito all’indebolimento che ne seguirà, occorrerà necessariamente unire le risorse disponibili, sempre più scarse, attraverso la cooperazione, per sopravvivere. Un mondo che cambia troverà in sé le modalità più appropriate per assecondare e realizzare il cambiamento.

Tutto ciò non appartiene di certo solo all’epoca in corso. Se così non fosse stato sempre, nessun paesino sarebbe stato in grado di celebrare il suo millennio. E i paesini in grado di celebrarlo non sono certamente pochi! Non si può difendere e sostenere uno stesso modello di struttura socio economica in tutte le epoche che, tutt’insieme, fanno un millennio. Un mondo che cambia -e il mondo cambia incessantemente- è compatibile solo con un modello dinamico, un modello che si adatta altrettanto incessantemente ad esso, e che continuerà l’adeguamento finché non sarà in grado di rappresentarlo fedelmente.

Il cambiamento è un processo lento e profondo, ma irreversibile e monotonico, nel senso che procede verso una sola direzione, quella rivolta al futuro. Così come di generazione in generazione il mondo cambia, e se il cambiamento non ci riporta alla preistoria, vuol dire che le nuove generazioni compiono un passo avanti, non indietro, rispetto alle precedenti. A nulla valgono i ritornelli delle precedenti generazioni per sostenere l’idea che esse sono state migliori di quelle del momento storico in corso. A ben vedere, la qualità della vita migliora di generazione in generazione, e ogni generazione fa del suo meglio, nel suo presente, per migliorarla. Nello stesso tempo, ad essa non è dato entrare nel futuro delle generazioni che seguono. Il futuro richiede una nuova generazione, generazione che, a sua volta, vivrà il suo presente così come lo ha vissuto la precedente, e farà del suo meglio così come lo ha fatto la precedente.

Il cambiamento non è mai indolore. La creazione di un mondo nuovo, un mondo che innova e sostituisce il precedente, comporta costi e sacrifici, individuali e sociali. Il settore privato e il settore pubblico si alternano nei loro errori e nei loro successi. Il sentiero che tende all’equilibrio tra i due settori è il vero banco di prova di ogni generazione. Non basta pensare a se stessi e fare bene ciò che si fa per se stessi. Ogni individuo fa parte di una società e se la società nel suo insieme non avanza, non c’è individuo che non ne soffra prima o poi. E’ piuttosto la consapevolezza che quel che si fa per se stessi è sempre parte della società alla quale si appartiene, il presupposto ineliminabile per la creazione di un mondo migliore.

Per ora possiamo solo augurarci che quella consapevolezza entri a far parte del modus pensandi e del modus vivendi di coloro che abitano il Cilento e che le celebrazioni dei compleanni (successivi al millennio) che seguiranno la aiutino a svilupparsi.


Lucio Valerio Spagnolo


© RIPRODUZIONE RISERVATA - (foto da wikipedia di Geofix)

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