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Castellabate, si intitolano "Via Giancarlo Siani" e "Via Carlo Alberto Dalla Chi"

📅 martedì 31 marzo 2009 · 📰 ComuniCastellabate

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«Castellabate rende un doveroso tributo di onore a due eroi, che hanno sacrificato la propria vita per difendere i valori dello Stato e della legalità, opponendosi alla mafia e alla camorra. Sono il giornalista del “Mattino”, Giancarlo Siani, e il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, di cui vogliamo rendere eterno il ricordo e porli ad esempio per le nuove generazioni». Così il sindaco di Castellabate, Costabile Maurano, spiega la prossima intitolazione di due strade a Ogliastro Marina, varata con deliberazione della Giunta comunale n. 307 del 28 dicembre 2007.

L’appuntamento con la cerimonia di scoprimento delle targhe “Via Carlo Alberto Dalla Chiesa” e “Via Giancarlo Siani, giornalista” è per venerdì 3 aprile alle ore 17 all’imbocco delle due strade finora prive di denominazione nella frazione Ogliastro Marina. All’evento saranno presenti il sindaco Maurano, una rappresentanza della giunta e del consiglio comunale, autorità civili e militari.

«Sapere che il nome di mio fratello vivrà per sempre perché inserito nella toponomastica di Castellabate è per me motivo di grande soddisfazione – spiega il fratello di Giancarlo, Paolo Siani – Sono queste le cose vere e concrete che servono a lenire un così grande dolore. Ringrazio il sindaco, la giunta e il consiglio comunale di questa iniziativa. Mi costa molto non essere presente alla cerimonia, a causa di impegni di lavoro che mi trattengono a Roma. Ma nei prossimi giorni sarò a Castellabate e visiterò di persona la strada che porta il nome di mio fratello».

Giancarlo Siani era un giovane giornalista napoletano. Fu ucciso a Napoli, la sera del 23 settembre 1985, sotto casa, nel quartiere del Vomero: aveva appena compiuto 26 anni. Collaborava con il quotidiano "Il Mattino", come corrispondente da Torre Annunziata presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia. Al centro dei suoi articoli le problematiche sociali del disagio e dell'emarginazione, dove individuava il principale serbatoio della manovalanza della camorra.

In particolare, approfondì la realtà torrese con inchieste sul contrabbando di sigarette e sull’espansione dell'impero economico del boss locale, Valentino Gionta. Così diventò il fulcro dei primi movimenti del fronte anticamorra. Promotore di iniziative, firmatario di manifesti di impegno, era il punto di riferimento per chi aveva una coscienza civile ma anche un giornalista scomodo per chi era dalla parte del crimine.

Lui, invece, urlava con i suoi articoli: aveva capito che la camorra si era infiltrata nella vita politica, della quale riusciva a regolare ritmi decisionali ed elezioni. La decisione di ammazzarlo fu presa dopo la pubblicazione di un suo articolo, sul “Mattino" del 10 giugno 1985. Nel testo Siani svelava alcuni retroscena dell’arresto del boss Valentino Gionta, alleato di Lorenzo Nuvoletta, che ordinò la soffiata ai carabinieri per farlo arrestare, per ingraziarsi un altro boss. Siani venne a saperlo e lo scrisse, provocando le ire dei camorristi di Torre Annunziata. Per non perdere la faccia con gli alleati, Nuvoletta, con il beneplacito di Riina, ne decretò la morte.

Carlo Alberto Dalla Chiesa fu generale dei carabinieri e prefetto. Impegnato nella lotta contro il terrorismo e la mafia, fu ucciso in un agguato mafioso, il 3 settembre 1982 a Palermo.

Nella sua carriera si segnalano le indagini sull’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto, di cui incriminò il boss Luciano Liggio. Assicurò alla giustizia capi mafia come Gerlando Alberti o Frank Coppola ed iniziò a seguire piste che avrebbero aperto poi svelato le relazioni fra mafia e politica.

Creò una struttura antiterrorismo con base a Torino, che nel 1974 gli consentì di catturare Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco delle Brigate rosse. Nel 1978 fu nominato coordinatore delle forze di polizia e degli agenti informativi per la lotta contro il terrorismo, un reparto speciale alle dirette dipendenze del Ministro dell'interno. Facendo leva sui pentiti, ma anche sulle infiltrazioni scoprì i meccanismi dell'organizzazione terroristica. Individuò e arrestò anche gli esecutori materiali dell’omicidio di Moro.

Nel 1982 salì sulla seconda sedia dell'Arma, il grado più alto cui un carabiniere potesse pervenire, consolidando la sua immagine di ufficiale efficace ed integerrimo. Il 2 maggio fu inviato in Sicilia come prefetto di Palermo a combattere l'emergenza mafia, mentre le indagini sui terroristi furono assegnate ad altri. Ma qui lamentò più volte la carenza di sostegno da parte dello Stato.

Emblematica la sua amara frase: "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì". Fu assassinato dalla mafia il 3 settembre 1982 in via Isidoro Carini, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro, sposata in seconde nozze, e alla scorta.

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