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Pietro Maglione, Vescovo della Diocesi Caputaquensis et Vallensis dal 1876 al 1900

📅 sabato 14 marzo 2015 · 📰 CulturaCilento

14032015 pietro maglione vescovo
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foto autoredi Emilio La Greca Romano | Blog

Correva l’anno 1834 quando Giuseppe Mazzini fondò la “Giovane Europa” in accordo con altri rivoluzionari stranieri. Secondo i principi ispiratori del patriota doveva servire a liberare e unificare gli altri stati europei costituendo gli Stati Uniti d’Europa. In questo clima di auspicata libertà popolare la Chiesa del Cilento accolse il suo nuovo Pastore: Pietro Maglione, nato a Eboli, in provincia di Salerno, il 27 gennaio 1834. Compì i suoi studi nel Seminario di Salerno e nel Collegio dei Gesuiti. Nel 1856 fu promosso al diaconato; nel 1859 al presbiterato.

Il 15 giugno 1874 fu fatto Vescovo di Cariati, una Chiesa della Calabria ionica equidistante da Sibari e Crotone.

Il 1877 fu l’anno che segnò l’ingresso di Maglione nella Diocesi di Capaccio-Vallo.

L’anno successivo il 5 e l’8 maggio, il Vescovo consacrò rispettivamente la Cattedrale di Vallo e la Chiesa di Ceraso. Quest’ultima alla fine del XIX secolo s’impose, a seguito del restauro, ad ampliamento avvenuto, quale edificio sacro fra i più belli di tutta la Diocesi. Nell’episcopato di Maglione ricorre un’altra data significativa, il 15 agosto 1889 quando su delega del Capitolo Vaticano, incoronò “Santa Maria” del Monte di Novi.

Da una relazione sulla Diocesi del 29 febbraio 1885 il presule denunciava l’assenza di Ospedali e del Seminario, indicando lo scarso numero di 35 alunni di Massa.

Si scagliò contro il fare scandaloso di qualche presbitero e si lamentò per le trascurate omelie nelle parrocchie. Guardò quindi fiducioso l’opera pastorale vocazionale, fino a sentirsi indotto ad aprire, nel 1881, il Seminario di Massa, ubicato nell’ex Convento. La struttura fu presa inizialmente in fitto dal Comune di Vallo e solo successivamente il Vescovo poté acquistarla il 31 dicembre 1895.

Il Nostro poi, in altra relazione, datata 15 ottobre 1892, mentre sottolineava la sua personale impossibilità a visitare le parrocchie, a causa della sua malferma salute, segnalava i dati della nuova Diocesi di Capaccio-Vallo, costituita con Lettera Apostolica nel 1851. “Conta fino a 102 paesi che in gran parte sono situati in luoghi montuosi. Si notano 107 parrocchiali, 220 chiese pubbliche e non parrocchie e 24 oratori privati. Il numero degli abitanti della diocesi è di 102 mila”. Nella stessa relazione Maglione rilevava in Diocesi la presenza di un clero dissoluto. Si contavano uomini di chiesa, scriveva, “..,.che in questi momenti di discordia si vestono a modo dei laici con scandalo dei fedeli” e altri che “seguendo l’andazzo del tempo cercano piacere ai cosiddetti progressisti”. Altro danno alla Chiesa del Cilento è fatto poi, secondo il Nostro, dai matrimoni che si contraggono solo civilmente. Ulteriore causa di rammarico per il Vescovo erano le Confraternite in quanto fino al 1805 si erano sottratte alla giurisdizione dell’Ordinario. Questo era il quadro della Chiesa di Capaccio-Vallo. Una realtà veramente desolante.

vescovo
Il Vescovo Maglione si distinse per la sua loquela e per la speciale predilezione per l’ideologia giobertiana. Quasi certamente, ci viene da pensare, in contrasto col suo predecessore, accolse dal pensiero di Gioberti il rifiuto verso il potere monarchico e bene osservò l’acceso convincimento per la Repubblica e l’urgenza delle riforme nel giovane Regno.

La causa della mancanza di presbiteri veniva da lui imputata alla “Carbonaria Secta”. Era quest’ultima la fonte e la causa di atti criminali. Tale coscienza non lo risparmiava di avanzare richiesta alla Sacra Congregazione di potere accogliere nel gregge cattolico anche i carbonari pentiti. Diversi ex membri della Carboneria avevano, infatti, ottenuto la grazia di indossare la talare. Mons. Pietro Maglione va ricordato, fra l’altro, in quanto oppose netto rifiuto a dissacrare, un momento prima della fucilazione, due uomini di chiesa: il Canonico De Luca e il Sacerdote De Luca di Montano.

Il Vescovo perì di podagra (gotta). Questo male fu per lui una vera costrizione, era obbligato a delegare il suo convisitatore, nelle varie visite, per le località di difficile accesso. Invalidato dalla sua cagionevole salute fu costretto alle dimissioni nel corso del 1900. Si ritirò nella sua dimora ebolitana con il titolo di Arcivescovo di Teodosiopoli e quivi cessò di vivere il 13 aprile 1903.

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