Undici anni dopo Sarno frane dimenticate tra Costiera e Cilento, il caso di Pisciotta ieri a «Striscia»
Se la storia fosse maestra, a undici anni dalla funesta tragedia di Sarno, «dissesto idrogeologico» non dovrebbe essere il termine più abusato della politica. E invece lo è. Mentre il territorio continua a sgretolarsi come pasta frolla. Emblematico il caso di Pisciotta dove il sindaco Cesare Festa, ad un anno dalla frana che mise in ginocchio la viabilità al centro del paese e in pericolo l’incolumità dei cittadini, minaccia le dimissioni e chiama «Striscia la Notizia» (servizio andato in onda ieri sera) pur di alzare la voce e farsi sentire dalle autorità competenti. A quel ponte di ferro che sovrasta la strada scivolata giù verso la vallata, e che permette alle macchine di transitare la gente si è abituata. L’immobile evacuato che ospitava anche l’ufficio postale in via Foresta è sempre pericolosamente lì. La frana pure. Cosa è accaduto in un anno? Poco e niente. Il sindaco assicura di essersi rivolto «alla Provincia di Salerno, al Genio Civile, ai vertici dell’ente Difesa Suolo, all’Autorità di Bacino, al Prefetto di Salerno». Tutti continuamente sollecitati.
«Abbiamo messo in sicurezza l’area- spiega il sindaco- ma è una frana che evolve e che negli ultimi tempi ha fatto registrare un’accelerazione» Di soldi per risolvere il problema però nemmeno l’ombra. «Fino ad ora la Provincia di Salerno - attacca il sindaco- ha solo pagato il noleggio del ponte di ferro, di circa settantamila euro». L’unico progetto di sistemazione l’ha fatto il comune di Pisciotta. Costo tremila euro. Fino ad ora non finanziato da nessuno. «Se entro ragionevoli tempi- continua Festa - non ci sono risposte mi dimetto». Ma non è questa l’unica frana che flagella Pisciotta, già indicata come territorio franoso addirittura da un regio decreto di 100 anni fa. Ce n’è una alle porte del paese che aspetta i lavori di sistemazione da circa 15 anni. «Quella frana- dice Festa- potrebbe cadere sulla ferrovia e dividere l’Italia in due». Nessuna risposta al problema neppure per la frana che a dicembre scorso piombò su San Severino di Centola. Sono passati cinque mesi da quando un pezzo del costone roccioso di una rupe precipitò lungo la strada provinciale 17. Da allora non è stata spostata nemmeno una pietra. Il paese resta tagliato a metà, l’ufficio postale è chiuso e dieci abitazioni restano evacuate. «La frana giace- dice polemicamente il sindaco Romano Speranza- c’è solo un palleggiamento di responsabilità. E sono fortemente critico nei confronti della protezione civile regionale».
Punti frana ancora irrisolti anche a Piaggine, sulla strada provinciale 11 che porta a Teggiano. Solo quest’anno in Costiera amalfitana ci sono state più di venti frane. Un vero e proprio bollettino di guerra, soprattutto a gennaio, con il clou del 28 gennaio: una frana su una villa a Ravello in via Orso Papice, quasi in contemporanea, a Minori, dove qualche giorno prima vengono sgomberate 11 persone, Conca dei Marini, Maiori, Cetara, Vietri sul mare, un susseguirsi di frane a ripetizione che ha fatto temere il peggio. Poi il 10 febbraio cominciano ben due mesi di interruzione dell’unica strada rotabile di collegamento, per un masso pericolante che incombeva su Praiano, isolando Positano e Praiano da Amalfi ed il resto della Costiera. A Furore sono ormai quasi dieci anni che crolla pietrame e ci sono continui lavori, per un complesso di circa cinque milioni di euro stanziati, che stanno lasciando la Costiera tuttora chiusa «a singhiozzo ».
«L’abbandono dei terrazzamenti è una delle cause del dissesto - denuncia Marco Aceto del consorzio del limone Igp di Amalfi - , i caratteristici muretti a secco sono elementi stabili del paesaggio, ma soprattutto sentinelle sensibili. Invece di investire in milioni di euro per progetti a volte inutili che imbrigliano la costiera, si dovrebbe investire sui contadini che tutelano davvero il territorio. Per gli interventi di somma urgenza c’è il Piano stralcio dell’autorità di bacino destra Sele. L’area a rischio è stata divisa in quattro classi, la Costiera è la più esposta ed è contrassegnata con la sigla P4». Il piano prevede interventi per l’ingaggio dei massi in bilico, la bonifica dei valloni e l’installazione di reti metalliche. «Il vero intervento va a fatto a monte, sugli esseri umani. Si è persa negli ultimi tempi la capacità (che avevano i nostri nonni) di collegare le cause agli effetti - dice Claudio D’ Esposito del Wwf - e allora via libera agli sbancamenti, al taglio di alberi, alla captazione di acque e alla cementificazione di alvei e montagne».
Michele Cinque
Stefania Marino







