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Undici anni dopo Sarno frane dimenticate tra Costiera e Cilento, il caso di Pisciotta ieri a «Striscia»

📅 mercoledì 6 maggio 2009 · 📰 AttualitàCilento

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Se la storia fosse maestra, a undi­ci anni dalla funesta tragedia di Sarno, «dissesto idrogeologico» non dovrebbe essere il termine più abusato della politica. E invece lo è. Mentre il territorio continua a sgretolarsi come pasta frolla. Emblematico il caso di Pisciotta dove il sindaco Cesare Festa, ad un anno dalla frana che mise in ginocchio la viabilità al centro del paese e in pericolo l’incolumità dei cittadini, minaccia le dimissioni e chiama «Striscia la Notizia» (ser­vizio andato in onda ieri sera) pur di alzare la voce e farsi sentire dalle autorità competenti. A quel ponte di ferro che sovrasta la strada scivola­ta giù verso la vallata, e che permette alle mac­chine di transitare la gente si è abituata. L’immo­bile evacuato che ospitava anche l’ufficio posta­le in via Foresta è sempre pericolosamente lì. La frana pure. Cosa è accaduto in un anno? Poco e niente. Il sindaco assicura di essersi rivolto «alla Provincia di Salerno, al Genio Civile, ai vertici dell’ente Difesa Suolo, all’Autorità di Bacino, al Prefetto di Salerno». Tutti continuamente solleci­tati.

«Abbiamo messo in sicurezza l’area- spiega il sindaco- ma è una frana che evolve e che negli ultimi tempi ha fatto registrare un’accelerazione» Di soldi per risolvere il problema però nemme­no l’ombra. «Fino ad ora la Provincia di Salerno - attacca il sindaco- ha solo pagato il noleggio del ponte di ferro, di circa settantamila euro». L’unico progetto di sistemazione l’ha fatto il co­mune di Pisciotta. Costo tremila euro. Fino ad ora non finanziato da nessuno. «Se entro ragio­nevoli tempi- continua Festa - non ci sono rispo­ste mi dimetto». Ma non è questa l’unica frana che flagella Pi­sciotta, già indicata come territorio franoso addi­rittura da un regio decreto di 100 anni fa. Ce n’è una alle porte del paese che aspetta i lavori di si­stemazione da circa 15 anni. «Quella frana- dice Festa- potrebbe cadere sulla ferrovia e dividere l’Italia in due». Nessuna risposta al problema neppure per la frana che a dicembre scorso piom­bò su San Severino di Centola. Sono passati cin­que mesi da quando un pezzo del costone roccio­so di una rupe precipitò lungo la strada provin­ciale 17. Da allora non è stata spostata nemmeno una pietra. Il paese resta tagliato a metà, l’ufficio postale è chiuso e dieci abitazioni restano evacua­te. «La frana giace- dice polemicamente il sinda­co Romano Speranza- c’è solo un palleggiamen­to di responsabilità. E sono fortemente critico nei confronti della protezione civile regionale».

Punti frana ancora irrisolti anche a Piaggine, sul­la strada provinciale 11 che porta a Teggiano. Solo quest’anno in Costiera amalfitana ci so­no state più di venti frane. Un vero e proprio bol­lettino di guerra, soprattutto a gennaio, con il clou del 28 gennaio: una frana su una villa a Ra­vello in via Orso Papice, quasi in contempora­nea, a Minori, dove qualche giorno prima vengo­no sgomberate 11 persone, Conca dei Marini, Maiori, Cetara, Vietri sul mare, un susseguirsi di frane a ripetizione che ha fatto temere il peggio. Poi il 10 febbraio cominciano ben due mesi di interruzione dell’unica strada rotabile di collega­mento, per un masso pericolante che incombe­va su Praiano, isolando Positano e Praiano da Amalfi ed il resto della Costiera. A Furore sono ormai quasi dieci anni che crolla pietrame e ci sono continui lavori, per un complesso di circa cinque milioni di euro stanziati, che stanno la­sciando la Costiera tuttora chiusa «a singhioz­zo ».

«L’abbandono dei terrazzamenti è una delle cause del dissesto - denuncia Marco Aceto del consorzio del limone Igp di Amalfi - , i caratteri­stici muretti a secco sono elementi stabili del pa­esaggio, ma soprattutto sentinelle sensibili. Inve­ce di investire in milioni di euro per progetti a volte inutili che imbrigliano la costiera, si do­vrebbe investire sui contadini che tutelano dav­vero il territorio. Per gli interventi di somma ur­genza c’è il Piano stralcio dell’autorità di bacino destra Sele. L’area a rischio è stata divisa in quattro classi, la Costiera è la più espo­sta ed è contrassegnata con la sigla P4». Il piano prevede interventi per l’ingaggio dei massi in bilico, la bo­nifica dei valloni e l’installazione di reti metalliche. «Il vero inter­vento va a fatto a monte, sugli esseri umani. Si è persa negli ul­timi tempi la capacità (che ave­vano i nostri nonni) di collegare le cause agli effetti - dice Clau­dio D’ Esposito del Wwf - e allora via libera agli sbancamenti, al ta­glio di alberi, alla captazione di ac­que e alla cementificazione di alvei e montagne».

Michele Cinque

Stefania Marino

Fonte: corrieredelmezzogiorno.corriere.it

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