Si corre ai ripari per il fiume Alento, stanziati 50 milioni
Attraversa 25 comuni, dopo anni di incuria Regione e comunità locali corrono ai ripari: «È questo il futuro»
SALERNO — Rinaturalizzare un corso d’acqua significa farlo nascere un’altra volta. Dopo averlo «ucciso» con una gestione dissennata, e perciò assassina, del territorio. È il caso dell’Alentum, il fiume del Cilento ricchissimo di storia e di gloria — esisteva (e si chiamava Hales) quando i coloni Focei fondarono Velia, patria di Parmenide e del suo allievo Zenone, i filosofi fondatori della «scola eleatica» — ma avviato a diventare una sorta di pattumiera perché buona parte dei venticinque comuni che si sono sviluppati lungo le sponde hanno sempre ritenuto che il fiume fosse la soluzione ideale per «nascondere» i limiti di efficienza della classe politica e amministrativa locale. In scala il rischio che l’Alento diventi, nel tempo, un altro Sarno è più che reale. Ora, però, si tenta di voltare pagina anche perché i nodi sono finalmente venuti al pettine grazie alla testardaggine di qualche sindaco — in testa a tutti quello di Casal Velino, Domenico Giordano — e del vice presidente della giunta regionale, Antonio Valiante, che è nato e non si è mai staccato da Cuccaro Vetere, uno dei borghi più antichi del Cilento, i quali hanno scalato la diffidenza verso il progetto e stanno per incassare, dopo l’approvazione del protocollo d’intesa con il Consorzio Acquedotti (Consac) e il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, l’approvazione del progetto di bonifica. Il tutto reso possibile dalla indispensabile benedizione della Regione che ha inserito il progetto- Alento nell’elenco delle Grandi Opere. Costo dell’operazione: 50 milioni di euro. «Ben spesi — tiene a sottolineare Valiante — perché i vantaggi ambientali, paesaggistici e turistici che se ne ricaveranno sono di gran lunga superiori».
Con queste assicurazioni dalle titubanze iniziali si è passati ad una baldanza operativa: «A settembre potrebbe essere approvato il progetto di massima che non riguarda solo la rinaturalizzazione dell’Alento, ma anche degli altri corsi d’acqua del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Ci stiamo giocando il futuro, insomma, e tutti a palazzo Santa Lucia, compreso il governatore Bassolino, sanno che andremo fino in fondo». Gli altri fiumi beneficati sono il Fiumarella che come l’Alento entra nel territorio di Ascea; il Lambro che, con il suo toponimo lumbard, si insinua nelle terre che picchiano verso Palinuro e l’Arco Naturale; il Mingardo che ha il suo letto tra Palinuro e Camerota; e, infine, il Bussento che si specchia nel Golfo di Policastro. L’Alento, naturalmente, fa la parte del leone. È il fiume più grande, 36 chilometri, attraversa un territorio di oltre tremila ettari, e la sua riossigenazione potrà supportare il boom turistico della costa legato al trionfo delle bandiere blu, che sono diventate undici con la «promozione » di Casal Velino. Domenico Giordano, il sindaco che guida la cordata per l’Alento, non ha dubbi: «Il Cilento diventa un attrattore turistico a livello europeo solo se l’eccellenza della costa si salderà con un recupero di funzionalità di quelle interne che non può che svilupparsi lungo il fiume». Non si fa fatica a dargli ragione: utilizzando anche l’invaso della diga e le strutture sorte intorno all’Oasi sarà possibile realizzare una serie di attività sportive e ambientali.
Vela, canottaggio, birdwatching favorito dalla straordinaria varietà di uccelli stanziali e di passaggio; pesca fluviale e lacustre; sentieri pedonali, passeggiate a cavallo, trekking, tiro con l’arco e, in aggiunta, la possibilità di realizzare uno straordinario recupero di risorse idriche e un miglioramento sensibile dei corsi d’acqua a tutela dell’erosione costiera. «Siamo sicuri di quello che si sta facendo — dice il sindaco di Casal Velino — e, soprattutto, ci conforta il fatto che solo in questo modo sarà possibile dare più respiro e profondità alla stagione turistiche che ora si «consuma» nei mesi estivi. «Abbiamo fatto approfondite analisi di mercato dalle quali è emerso che gli unici poli di sviluppo sono la rinaturalizzazione dell’Alento e il completamento del porto turistico che vede diventare un marina da cinquecento posti». Il Cilento, insomma, ha deciso di voltare pagina e per farlo volge lo sguardo al passato. «Il nostro nome è legato al fiume (Cis Alentum), noi siamo la comunità insediatasi al di qua dell’Alento, e se vogliamo sederci al tavolo grande dobbiamo recuperare le risorse migliori del nostro straordinario territorio. Il mare cristallino, la dieta mediterranea, ma anche il riassetto ambientale del paesaggio fluviale bloccando il processo di degenerazione in atto». La straordinaria biodiversità del territorio fluviale è stata certificata dalla Cee con l’inserimento nella rete ecologica Natura 2000, ma il salto di qualità potrà venire anche dalla consacrazione turistica degli stagni e dei laghetti — realizzati dal Consorzio Velia — nei quali gli uccelli hanno fatto il nido. Parliamo del territorio nel quale, negli anni, si sono insediati le specie animali stanziali nelle zone umide: anfibi, rettili, pesci e perfino mammiferi. Un piccolo paradiso, insomma, dove si possono ammirare aironi, anatre di superficie e, nei laghetti dove l’acqua è profonda un metro e mezzo, le folaghe, le anatre di profondità e, dulcis in fundo, insieme all’occhione, la tartaruga palustre, la regina delle zone umide: la lontra. Che, come tutti sanno, è in via di estinzione.
Carlo Franco
 
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