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Don Carlo Grangetti, Carmelitano scalzo e parroco di Acciaroli dal 1957 al 1985

Nacque a Carignano, in provincia di Torino nel 1899 e morì ad Acciaroli nel 1985. Fu ordinato sacerdote il 23 dicembre 1928, all’età di 29 anni, da Mons. Giannini in Beirut. Celebrò la prima messa nella Notte Santa del 1928 a Bisceri Fu missionario carmelitano scalzo in Oriente, Superiore della Missione dei Carmelitani Scalzi del Libano e della Turchia, Superiore al Convento dei Carmelitani di Anzio, poi parroco della marina di Acciaroli nel Cilento.

📅 mercoledì 27 dicembre 2017 · 📰 CulturaAcciaroli

27122017 don carlo grangetti
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foto autoredi Emilio La Greca Romano | Blog

Sulla sponda sinistra del Po, a 20 Km a Sud di Torino, sorge Carignano. La città storicamente dipende dal fiume; è fra le più antiche e ricche di testimonianza storica. Avamposto difensivo dei Conti di Savoia, prima imponente e severo borgo medioevale, poi piccola capitale barocca; oggi fatta di turismo quieto e cadenzato. Il centro ha dato i natali a don Carlo Grangetti. Mentre il Nostro, in fasce, emetteva i primi vagiti, calava il sipario sul XIX secolo e Carignano andava affermandosi quale comprensorio più importante del territorio, grazie al Lanificio “Bona” che ha poi trainato l’economia della città per un abbondante decennio. Era il tempo degli ultimi fremiti della “Belle Epoque”, allor quando l’umanità si affermava nella professione di fede nella scienza e nelle proprie capacità.

Carlo, Antonio Mario, nacque da Domenico e Maria Peretti, il 6 novembre del 1899, all’ora mezza, quando i genitori rispettivamente avevano l’età di 30 e 29 anni. Dal Registro di Battesimo della Parrocchia intitolata ai “Santi Giovanni Battista e Remigio” di Carignano, al numero 199, risulta che in data 6 novembre 1899, quindi appena nato, gli fu amministrato il Battesimo dal Vicecurato Befrone Michele. Fu accompagnato sicuramente dal padre Domenico, dal padrino e dalla madrina, rispettivamente dal Signor Picco Antonio e dalla Signora Capriolo Margarita Delfa Isidoro.

La famiglia Grangetti, quando don Carlo aveva appena dieci anni, dai documenti del Comune di Carignano, risulta emigrata a Torino nell’anno 1911. Si evince che nell’anno 1921, in occasione del censimento, Don Carlo, non era presente in Carignano bensì, forse, a Vicoforte, un significativo centro abitato ubicato a circa 30 km a est da Cuneo, ad un'altitudine di 598 m s.l.m. E’ morto poi nel Cilento, in Acciaroli di Pollica, a sud della provincia di Salerno, il 29 maggio 1985. Fu ordinato sacerdote il 23 dicembre 1928, all’età di 29 anni, da Mons. Giannini in Beirut.. (Frediano Giannini OFM, era originario di Bozzano e venne alla luce con l’Italia unita, nel 1861 e morì nel 1939. Mons. Giannini dal 1900 al 1906 fu curatore della Terra Santa . Il 20 gennaio 1905 , con nomina di Papa Pio X, divenne Arcivescovo titolare di Serres, Vicario Apostolico di Aleppo e delegato apostolico in Siria. Il delegato apostolico in Egitto, l' Arcivescovo Aurelio Briante OFM, gli conferì l'ordinazione episcopale il 5 marzo dello stesso anno).

don carlo grangetti

Dalla scheda personale di Don Carlo in dotazione dell’Ufficio Cancelleria della Diocesi di Vallo della Lucania (Salerno), si evince che era in possesso, oltre al previsto percorso di studi teologici ordinario, dei titoli di Abilitazione Magistrale e del Diploma di Lingua francese conseguito in Turchia. I suoi titoli onorifici civili erano quello di Cavaliere Ufficiale e di Commendatore, (data conferimento classe Commendatore 9 aprile 1952). Dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia N. 277 del 27 Novembre 1940 risulta, fra l’altro, che al reverendo “Grangetti Carlo Mario, padre carmelitano residente a Tripoli di Soria” fu conferito il titolo di Cavaliere, mentre alla voce “Uffici” della Cancelleria della suddetta Diocesi risulta Superiore della Missione dei Carmelitani Scalzi del Libano e della Turchia e Superiore al Convento dei Carmelitani di Anzio (Roma).

Nei ruggenti anni 1960 la marina di Acciaroli, oggi accorsa e prestigiosa località turistica campana, registrò la significativa incidenza, anche in termini di stimolo per un decisivo sviluppo socio-religioso, dell’azione di don Carlo Grangetti. Già dal 1957 egli era presente in Acciaroli con la sua opera umana e pastorale, volta a garantire sostegno anche alla crescita civile del borgo. Era rimasto ammaliato da Acciaroli in uno dei suoi viaggi che la malattia lo obbligava a fare. Qui restò fino alla sua dipartita, con grande senso di rispetto verso tutto e tutti. La prima sollecitazione all’apertura nei confronti di una realtà nuova e l’intuizione di una sicura crescita legati al turismo balneare partirono dall’arguta e attenta riflessione di don Carlo. Il prete piemontese praticò, sin dal lontano decennio Sessanta, i fondamentali dello sviluppo che, grado a grado, con il passare degli anni, hanno poi condotto a risultati concreti nell’ascesa turistica locale, ovviamente anche grazie a chi ha seguito don Carlo in altra veste, con l’azione connessa alla gestione amministrativa della cosa pubblica.

don carlo ad acciaroli

Questi, quando giunse ad Acciaroli e ottenne la parrocchia della marina, dall’allora Pastore della Diocesi di Vallo della Lucania, Mons. Biagio D’Agostino, scoprì una sconfinata ricchezza nel paesaggio naturale e, parallelamente, una sconvolgente miseria materiale e intellettuale in tutti e in ciascuno. Ripa volle dedicare un suo componimento a don Carlo per le sue opere sociali e filantropiche a favore della gioventù libanese e della gioventù acciarolese. La poesia, poi inclusa nella raccolta dal titolo Immagini, fu pubblicata nel 1976:

“Venne dall’Oriente venti anni or sono, approdando ad Acciaroli, allora borgo semplice e desioso di vita. Operò affinchè novella aurora baciasse questa sponda. Mai domo, alato messaggero sui sentieri di fede, recò il canto più bello alla gioventù acciarolese ed ai bimbi.. offrendo loro un nido, amore ed assistenza di Pastore. A don Carlo il cielo sorride. E nel tempo rimarrà luce il bene profuso”.

Si, proprio così, con il supporto della Cassa per le opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale istituita con legge 10 agosto 1950, n. 646, riuscì a concretizzare il sogno di tanti, la realizzazione dell’Asilo. Veniva attuandosi al Sud il piano generale per la esecuzione, durante il decennio 1950‐60, di opere straordinarie dirette in modo specifico al progresso economico e sociale dell'Italia meridionale.

Giunto nella vecchia chiesa di “Sancta Maria”, la Chiesa intitolata a “Maria SS. Annunziata”, non restò con le mani in mano: si guardò intorno, lesse con grande cuore i bisogni e cercò, nonostante i suoi costanti mal di capo, con tutte le sue capacità e le sue conoscenze altolocate, direttamente o indirettamente, risposte concrete alle domande di tanti fedeli, convinti fino ad allora in un Dio severo e senza grazia. Gli abitanti della borgata erano semplici dentro e fuori, fatti di stanchezza e fame, incapaci di leggere nel domani la parola migliore e poveri di costrutti fraseologici, con la faccia pulita e facile al rossore; era gente di rispetto e cominciò a scoprire la bontà di Dio con un prete senza pretese, con il cuore grasso d’amore, Commendatore per forza e non per vocazione, dalla battuta cortese e pronta per arrivare paternamente in ognuno, per iniziare reciproche e fraterne intese e sciogliere con il sole della Fede rapporti prima con Dio e poi con gli uomini. Niente di pretesco lo distanziava, si faceva umile e rompeva sovente, con battute garbate, il silenzio di ghiaccio che la precarietà dei marinai portavano addosso insieme alla timidezza e alla diffidenza.

processione

Da buon poliglotta, sovente, intratteneva conversazioni nell’itinerario che lo conduceva dalla canonica alla chiesa madre, amava richiamare al decoro le belle ed esuberanti bagnanti, manteneva infiniti rapporti epistolari, tramite i quali, talvolta otteneva generosi contributi, utili per l’amorevole edificazione delle strutture religiose e sociali.

Dopo che il nutrizionista Usa Ancel Keys indicava il Comune di Pollica e il Cilento intero per la più alta concentrazione di centenari al mondo già nel 1950 e lo scrittore americano Ernest Hemingway faceva ritorno ad Acciaroli, a seguito di Venezia e Cortina, Don Carlo giunse qui, in questa minuta marina di scarse anime, per caso, per volere del fato, per progetto inatteso e divino; arrivò dopo una lunga e faticosa peregrinazione ad Acciaroli nell’estate del 1957, a causa delle sue precarie condizioni di salute, a seguito di diverse soste precedenti effettuate lungo la penisola. Dette condizioni lo inducevano a cambiare continuamente dimora in tutta Italia, dal Nord al Sud. Per il fraticello del Carmelo erano momenti di vera sofferenza. Il buon Dio conduce dove vuole e orienta a scelte particolari utilizzando talvolta pretesti diversi, lontani da quelle mete apparentemente irraggiungibili che ognuno si prefigge.

Il clima, tipicamente mediterraneo di Acciaroli, (le temperature invernali sono generalmente comprese tra i 4° C e i 10° C.; le temperature estive arrivano e superano i 30° C), contribuì, insieme alle linee naturali e urbanistiche dell’abitato, a sollecitare la voglia di permanenza al frate piemontese. Cominciava così quella missione che lo vide sempre in prima fila sia nell’assistenza dei fanciulli, sia in altre attività sociali; intuì la vocazione turistica di Acciaroli e si prodigò per farla conoscere. La sua incessante attività lo portò a realizzare molte opere: l’asilo infantile, con annessa Cappella di “S. Giuseppe” e alloggio per le suore; la Casa Canonica; l’ampliamento della Chiesa. Molti amici da tutta Italia lo aiutarono; si privò anche di una sua proprietà a Sait -Vincent; un aiuto gli venne anche da uomini politici. Qui ha dato tutto se stesso realizzando e ristrutturando diverse opere di utilità religiosa e sociale appunto. Quando giunse ad Acciaroli, era reduce da poco più di un trentennio di attività missionaria tra arabi e turchi; arrivò in questo incantevole posto di mare e dopo aver disfatto povere valige di effetti personali continuò il suo cammino di Apostolato. Giunse ad Acciaroli, nel cuore della costiera del Cilento, ove scoprì superba poesia nel paesaggio e nel cuore dei suoi abitanti. Don Carlo, piemontese d’origine, ebbe a cuore Acciaroli e la sua gente, qui concluse poi la sua esistenza nel 1985.

Chi scrive lo ricorda, finito all’esperienza terrena, avvolto nelle vesti carmelitane, come per suo volere, e sereno nel viso come in vita. Chi scrive è stato per lungo tempo suo affezionato collaboratore e rammenta la sua parola carica di bene, chiosa, pulita, di paterno sollievo, fatta di tanto conforto e speranza, come le sue gesta sempre colme di amore verso gli altri, quell’amore filiale che sgorgava già per lui dall’addolorato cuore mariano e dal sangue del Cristo, assoggettato al dramma esperienziale della Croce, per la Pasqua dell’uomo. Sapeva bene don Carlo che Acciaroli necessitava di Pasqua, necessitava di vita sia spirituale che materiale e per questo ha profuso, senza limiti, la sua azione indefessa. Di lui resta oggi il buon ricordo nei cuori di quanti lo hanno conosciuto; il coraggio iniettato nel dinamismo quotidiano di chi si appresta alla fatica; la stima, l’ammirazione di quanti l’hanno saputo leggere nelle parole e nelle azioni. E rimane, inoltre, l’amore per i piccoli per i quali ha voluto una casa calda ed accogliente.

Con la sua dipartita don Carlo ha lasciato in quel lontano mese mariano un vuoto incolmabile. Mancano, infatti, ormai da tempo, per i vicoli della marina il suo sguardo di vita e di fede, il suo cuore aperto ai problemi di tutti; manca la prontezza del suo saluto, la disponibilità al dialogo, i suoi paterni e bonari richiami; manca chi, senza farsene accorgere, ti portava in quella chiesa incrostata di salsedine, dove Cristo ancora è abituato alla solitudine, e ti faceva pregare, rapito dallo sguardo luminoso dell’Annunziata, mentre le onde furiose esplodevano in salsedine contro la battigia e il buio della sera subito accorciava le solitarie giornate. A lui correvano i piccoli della darsena aperta al cielo e nella sua chiesa, come un rito, a corona dell’altare, lo allietavano coi loro impacciati servigi liturgici. Questi topolini di caramelle e ingenui ladri d’ostie, spesso, con l’innocenza propria degli angeli di paese, gli tiravano agli occhi bonarie lacrime di commozione. L’imminenza della festività per lui era buona occasione, considerando il pretesto augurale, per chiedere aiuto e per poterlo poi elargire con smisurata larghezza di cuore e per far ciò, don Carlo dettava le sue centinaia di lettere, colme di sollecitazioni al bene, ingombrava e ingolfava il modesto ufficio postale della marina, scombussolava l’operato di qualche postino e di bonari funzionari di Stato. Era uno stile originale quello di don Carlo, tutto suo, entrava ovunque, parlava con chiunque, smuoveva il cuore, non mollava finché non si aprivano generosi portafogli per garantire ai suoi bimbi un sicuro piatto di minestra e per fare la chiesa più grande e per fare Acciaroli ancora più bella.

Dopo tutto don Carlo aveva scelto prioritariamente di appartenere a un Ordine religioso mendicante, i Carmelitani Scalzi. Era stato un fraticello del Carmelo e tale era rimasto nell’animo suo. L'Ordine, entro il quale gioiva d’essere stato, deriva dalla riforma scalza introdotta nel 1562 nel monastero femminile di San Giuseppe d'Ávila da Santa Teresa di Gesù ed estesa al ramo maschile dell'Ordine carmelitano a opera di San Giovanni della Croce con la fondazione del conventino di Duruelo nel 1568.

don carlo ad acciaroli

L'abito che don Carlo indossava, prima di arrivare ad Acciaroli, era l’abito da frate carmelitano e si costituiva di colore bruno, si distingueva per la veste talare stretta alla vita da una cintura, scapolare e cappuccio. In circostanza speciali, in aggiunta, usava indossare, come tutti i suoi confratelli, cappa e cappuccio bianchi.

La prerogativa dell’Ordine di don Carlo è la vita contemplativa, poi seguono le attività di tipo pastorale come la direzione spirituale, la predicazione e l’opera missionaria, quest’ultima assolutamente non secondaria. Chi scrive lo ricorda nel riflesso di una quanto mai artistica vetrata colorata, nei raggi di luce di un morente sole, in ginocchio prostrato avanti a quel Tabernacolo, posto ancora su un’ancora romana, reperita per caso nelle insenature del nostro mare, con le mani nelle mani, nella recita del Santo Rosario. Quando don Carlo pregava partecipava con tutto se stesso, poneva il palmo talvolta a reggere la sua fronte, quasi a proteggersi dai colpi dell’implacabile mal di capo, mentre assumeva nuove e temporali posizioni di comodo, scompigliava casualmente i suoi bianchi capelli di sano intellettuale; nel corso del suo soliloquio spirituale prendeva le distanze dalla pochezza delle spaziature umane e diventava isola con Lui, quel gigantesco Cristo di legno, senza parole, che sconfina mente e cuore, che ancora oggi ti precipita dentro, ti smuove la coscienza e motiva il tuo esistere in un paese apparentemente senza speranza, ove pure la fede vera è una scommessa con il destino.

E qui, in questo calante sole meridionale, prossimo a morire, il caro don Carlo ha vissuto con grande cuore, giorno dopo giorno ha conquistato l’amore di gente semplice e di più generazioni, il vero bene che si legge negli occhi e che parla la lingua ora del sorriso, ora delle lacrime. Don Carlo qui ha trascorso la sua senilità ed ha conquistato la saggezza degli umili, quella che ti fa scoprire vero innamorato degli altri senza riserve e vincoli, quella che ti fa scoprire il mondo più sano, gli uomini più puliti. La statua mariana gigante (inaugurata dal suo amico, il Cardinale Silvio Oddi, già Prefetto della “Sacra Congregatio pro Clericis”) posta all’estremità della banchina grande del porto, sconfina con gli occhi oltre l’ignoto orizzonte e sorride benedicente agli uomini di mare.

E’ questa un’altra cosa bella voluta per noi da un prete dimenticato; da un prete che oggi, purtroppo, appare troppo distante nei ricordi degli acciarolesi.

Per meglio comprendere la figura di Don Carlo missionario, quindi di Fra Guglielmo Carlo Grangetti, occorre fare un passo indietro nel tempo e focalizzare l'incendio della città di Smirne (1922) da parte dei soldati turchi di Mustafa Kemal. Oggi a noi Smirne è nota con la denominazione di Izmir. In sostanza si presenta come la terza città turca per numero di popolazione e per l’importanza della sua funzione portuale nell’ambito del bacino dell’Egeo. Quando Don Carlo era un giovane frate carmelitano e portava il nome di Fra Carlo Guglielmo la città era presidiata dai greci e si mostrava con carattere cosmopolita. Godevano della bellezza di Smirne turchi, armeni, greci, diverse rappresentanze delle potenze amiche che operavano presso consolati e ambasciate. Ricca si presentava Smirne. Tante erano le scuole, le accademie, i teatri, le bische, i bordelli. Era l’esempio di una affermata cultura, della modernità e della convinta e vissuta tolleranza. Con la sua ricchezza si rappresentava indifesa specialmente dopo la disfatta dell’esercito greco subordinato dalle truppe di Kemal e a una ritirata fortuita dei militari verso l’Attica. Smirne restò senza difesa e in balia dei turchi che, a breve, giunsero all’ingresso dell’urbe. Il vento alimentò e guidò le fiamme vigorose appiccate dai turchi. Il fuoco bruciò Smirne, si salvò il quartiere turco ubicato a Nord, ma i soldati a corona fecero forza per obbligare la folla disperata alle fiamme. In questo crudele genocidio si trovò Don Carlo.

Ecco come l’11 settembre del 1965, a soli nove anni dall’insediamento in Acciaroli e dopo trentatré anni di vita missionaria, don Carlo, nell’intervista rilasciata per il Roma, presentava la sua straordinaria avventura:

“Partii giovanissimo per l’Oriente, con meta Smirne, in Turchia. Qui fui testimone dell’orrendo e disastroso incendio della città, incendio accompagnato da saccheggi, violenze ed eccidi. Coadiuvai con altri volenterosi, come meglio mi fu possibile, per salvare qualche persona (una diecina) ed in un caso con piena coscienza, ma con entusiasmo, misi a repentaglio la mia vita. A causa di quell’incendio perdetti tutto quello che avevo e così fui costretto a ritornare in patria per alcuni mesi. Ripartii in missione e questa volta approdai nel Libano con puntate varie nella Siria, nella Palestina e nuovamente nella Turchia: rimasi in quei luoghi per ben ventitré anni. Unico intermezzo: una scappata in Italia per obbedienza. Con me, in Libano, furono fatti prigionieri dei francesi, tutti gli italiani residenti nel Libano ai quali, per alcuni giorni, si ebbe la gioia di dare ospitalità nel nostro Convento e ciò fino a quando fummo portati in un luogo deserto della Siria (Draikisc).

Eravamo guardati a vista dai soldati senegalesi. In questo campo di concentramento, dove io ero il capo responsabile spirituale per il buon andamento dello stesso campo, tra tanti dolori e vessazioni di ogni specie, ebbi la fortuna di convertire e battezzare sei soldati senegalesi pagani i quali, dopo breve tempo, me ne portarono altri. La prigionia durò un due mesi circa. Finita la guerra, rimisi piede nel Libano per la continuazione della mia missione in qualità di Superiore della stessa. Sfortunatamente l’avanzata degli inglesi dalla Palestina al Libano mi obbligò a far nuovamente rotta per la Turchia, facendo, però, prima ritornare in Italia i miei confratelli. In Turchia e precisamente ad Iskenderun diedi ospitalità a tutto lo Stato Maggiore della Commissione Italiana d’Armistizio dove si trovava per trattare le condizioni di resa con le autorità transalpine. Il Convento e la Parrocchia di Iskenderun furono pure l’ostello di tutti gli italiani profughi dalle terre invase dai britannici e dai francesi. All’inizio di questa mia sosta in Turchia, per ben dieci anni, ebbi la consolazione di essere umile ed affezionato collaboratore dell’allora Delegato Apostolico S. E. Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, diventato poi Papa col nome luminoso ed ardente di Giovanni XXIII. (ndr Sotto la Repubblica Turca: Con l'annessione di Iskenderun alla Turchia, nel 1939, iniziò a cambiare la situazione politico-religiosa di questa missione. Seguendo le disposizioni del Vicario-Delegato Apostolico, Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, i carmelitani rimasero lì, affrontando molti sacrifici. Godettero sempre dell'apprezzamento della popolazione. Tuttavia il cambiamento politico originò l'emigrazione dei cristiani per cui venne meno l'attività, soprattutto scolastica, svolta dai religiosi e religiose. Intanto nella parrocchia affluivano vari cristiani di altri riti o di altre chiese rimasti sprovvisti di un'altra assistenza spirituale. Alla diminuzione dei cattolici in quella regione si aggiunse la scarsità di vocazioni. La presenza carmelitana a Iskenderun venne ridotta al minimo. Questa situazione mosse il Consiglio Provinciale a porre il futuro della Missione nelle mani del Definitorio Generale)

chiesa anni 50

Tra le tante cose ricordo che S. E. Roncalli aderì (ed autorizzò con entusiasmo), alla mia richiesta di un Convento Carmelitano Missionario pure in Istanbul, dandomi come mandato la riapertura della Chiesa e Parrocchia di Uskudar (Scutari), roccaforte mussulmana. Siamo nel 1943. Dopo che l’Italia e la Germania ebbero il tracollo, la nostra Missione della Turchia attraversò momenti dolorosi e drammatici. Io, sfidando pericoli gravissimi, difesi e salvai persone e beni. L’Ambasciata Italiana di Ankara, per tali motivi, mi propose la medaglia d’oro di Primo Grado. Il Governo accettò la proposta, ma ridusse l’onorificenza a secondo grado perché nessuno – così mi fu detto confidenzialmente dalle autorità che mi avevano segnalato – fino allora aveva ricevuto simile onorificenza e pertanto non stava bene iniziare da un Frate. (n.r. Il cronista che registrò la presente testimonianza di don Carlo segnalava nel suo scritto che in riferimento a quest’ultimo punto esposto, il sacerdote mirava a partecipare quanto accadutogli senza parvenza polemica). Rientrato in Italia fui Superiore del Santuario di Anzio e Rettore dell’annesso Collegio…

(ndr: Riguardo alla sua presenza ad Anzio, a seguito di una calorosa richiesta di notizie al Carmelitani del Centro Italia, sono state fornite scarse informazioni. Fu fatto Superiore del Seminario - si pensa - nel Capitolo del 1951 e confermato in quello successivo, ma le cronache non evidenziano nulla di particolare. “Il nostro P. Provinciale, riferisce l’informatore, lo ebbe come direttore per alcuni mesi maggio-settembre, quando con i suoi compagni della 2.a media fu trasferito a Montecompatri, per la 3.a., ma lo ricorda appena. Purtroppo P. Onorio, archivista, è ormai molto anziano e P. Pancrazio non si è molto dedicato all'archivio, per questo motivo non si sa dove attingere altre notizie…).

Dopo di che, causa il riacutizzarsi di malattie avute in missione, consigliato dai Superiori Maggiori e dai medici, ottenni dalla Santa Sede un permesso rinnovato di Esclaustrazione (facoltà concessa a un religioso di vivere temporaneamente fuori dalla comunità); con grande rinuncia spirituale accettai di iniziare da sacerdote secolare una nuova vita missionaria, tra i tanti centri prescelsi, chissà perché, Acciaroli, questa meravigliosa Acciaroli che aveva davvero tanto bisogno di essere aiutata, portata su, essendo priva dei più vitali ed indispensabili elementi di vita”.

Papa Roncalli in Turchia, dunque, ebbe fra i suoi collaboratori anche Fra Guglielmo (Don Carlo), allora carmelitano scalzo. Nel 1934, a novembre, Roncalli ottenne la nomina di Delegato Apostolico in Tuchia e Grecia. Egli dimorava ad Istanbul in Turchia.

Scarseggiava il numero dei cattolici nel territorio turco quando don Carlo vi si trovava in missione. La vita delle comunità religiose era molto difficile. I sacerdoti venivano impediti persino di indossare l’abito religioso. Tanto si verificò dopo poco che giunse Roncalli. Il territorio turco in quel periodo, fra l’altro, non riconosceva ufficialmente l'esistenza della rappresentanza pontificia. Il Delegato Apostolico in terra turca e i sacerdoti cattolici dovevano muoversi rapportandosi sistematicamente al proibizionismo esagerato del governo turco che tutelava la confessione ortodossa e non certo l’osservanza cristiano-cattolica. Era un po’ questa l’aria che respirava il fraticello carmelitano. Angelo Roncalli mise insieme in quel periodo pazienza e carità e si adoperò fattivamente e con equilibrio nel coltivare gli amici della Chiesa ortodossa. Non era nuovo a questi rapporti Roncalli; in Bulgaria, infatti, aveva già intese con i rappresentanti della Chiesa ortodossa. Per merito dell’allora Delegato Apostolico Roncalli si riuscì ad abbattere incomprensioni e pregiudizi. Mons. Roncalli, poi Papa Giovanni XXIII, era attratto da tutto quello che era espressione cristiana. Don Carlo fu oculare testimone, con altro nome e in altra veste, a questo miracolo di apostolato ecumenico. "Tutto quello che era cristiano l'attirava -scrive Mons. Vuccino, arcivescovo cattolico greco. Mons. Roncalli si i mostrò sinceramente interessato e ammirevole della realtà e della storia della confessione ortodossa, creando diffuso stupore in terra d’Oriente. Si portò in visita al Patriarca di Costantinopoli. In occasione della morte di Pio XI invitò tutte le rappresentanze ortodosse per il pontificale. L’azione di apertura ecumenica di Roncalli fu un fatto che non interessò esclusivamente la sua persona, bensì tutta la comunità cristiana cattolica in missione in oriente. Don Carlo partecipò attivamente a queste dinamiche e colse l’elevato magistero di Roncalli. Arrivò poi il conflitto mondiale. L’opera pastorale diventò specialmente pragmatica. Fu dato sostegno ai rifugiati, ai feriti, ai prigionieri di guerra, alla popolazione e ai soldati italiani. Non fu poi secondario il sostegno nei confronti degli ebrei. Roncalli si adoperò per concretizzare una trama di rapporti di fratellanza universale e Don Carlo, di sicuro, non restò a guardare.

Appena giunto in Acciaroli il missionario si adoperò con gran cuore in un’azione di solidarietà a trecentosessanta gradi. Si adoperò e riuscì ad aprire nell’ottobre del 1964 l’asilo infantile. Qualche vecchia copia del Roma del gennaio di quell’anno documenta con suggestive e logore foto e un pezzo di un cronista rileva il tardato arrivo della befana per i bambini dell’Asilo di don Carlo; i piccoli in quel periodo trovavano alloggio nella stessa abitazione del parroco, in una porzione dell’abitato al piano terra, aperta agli scogli e al mare, prospiciente l’attuale porto. Così segnala ai lettori del Roma l’attento cronista di quel periodo: “Come ogni anno il Presidente dell’Asilo, don Carlo Grangetti, ha voluto offrire ai suoi bimbi un pacco dono: la befana è arrivata in ritardo sì, ma sempre gradita”. Anche l’anno successivo, il 1965, per volere del prete buono, i bambini della marina videro arrivare una befana molto affaticata, ma nello stesso tempo radiosa, in un mattino di azzurro, di sole, in un quadro di fiaba. “Cosa ha portato ai quaranta bambini sui cinquantaquattro iscritti? Lasciamo che svuoti il sacco: da esso vengono fuori molti pacchi, due per ciascuno: uno contenente un panettone intero, dolciumi e giocattoli vari, l’altro qualche capo da vestiario (quanti sacrifici per confezionarli). Gran festa hanno fatto i bimbi alla befana. Intanto il ritardo dell’inaugurazione del nuovo Asilo rimanda anche la venuta delle suore scelte da don Carlo: appartengono esse ad una congregazione scolastica, Istituto Scolastico di Nostra Signora, tutta dedita all’insegnamento, dagli Asili Infantili fino agli Istituti Medi Superiori”. Con l’ausilio del Roma di quei tempi e del caro compianto amico e collega Giuseppe Ripa, vogliamo ancora offrire al nostro lettore una nuova testimonianza riferita alla solenne cerimonia dell’inaugurazione del nuovo Asilo di Acciaroli. L’opera ottenne nel lontano 1966, vivi consensi e fu classificata tra le migliori del genere edificate nel Mezzogiorno. “..Per la cerimonia odierna che compendia e premia la tenacia del missionario piemontese don Carlo Grangetti ed esalta l’opera della Cassa per il Mezzogiorno sono scese in Acciaroli molte autorità politiche, religiose e militari ed insigni personalità: un quadro davvero fantastico di esaltante fervore. A dare maggiore risalto alla manifestazione è stata la folla di paesani. Gli acciarolesi hanno, ancora una volta, risposto all’invito del loro parroco per esternargli tutta la loro riconoscenza ed affetto per quanto ha compiuto per il bene di tutti, per il progresso della marina in questi suoi nove anni di sacerdozio su questa sponda ridente del Cilento. Le campane del tempio di Maria SS. Annunziata si sono associate alla gioia dei cittadini suonando a distesa nella imminenza dell’arrivo di S. E. il Vescovo di Vallo della Lucania, Mons. Biagio D’Agostino e degli altri ospiti. Sono le ore 16.00: l’arrivo di S.E. il Vescovo viene salutato come nelle tante occasioni precedenti, con vivo entusiasmo, con inni di lode: l’incontro con il Pastore avviene alle porte del paese e, precisamente, al di là del ponte poco distante dallo svincolo per Pollica. Il pomeriggio è tipicamente primaverile: un bel sole troneggia fra una corona di piccole, bianche nubi in un arco di azzurro che fanno da meraviglioso contrasto con le smeraldine acque del mare anch’esso tornato sereno dopo avere, per alcuni giorni, violentemente battuto la costa. In corteo si va verso l’Asilo. Si passa tra ali di folla plaudente, un vero tripudio. Sullo spiazzale dell’asilo sono ad attendere il Vescovo e le altre autorità, le Suore, i bimbi bene allineati ed altra gente. All’ ingresso del Nido d’infanzia due bimbi dalle sembianze di angioletti reggono il nastro che sarà di lì a poco tagliato da una madrina di eccezione: la distinta consorte dell’On. Fiorentino Sullo, Donna Viretta De Laurentis. Il taglio del nastro avviene tra calorosi scroscianti battimani ed un agitarsi di braccia sullo sfondo di un panorama che assume un aspetto di sogno tra i riflessi dorati del sole quasi al tramonto ed il verde dei colli”. In occasione della cerimonia dell’inaugurazione dell’Asilo infantile di Acciaroli, Sua Santità Paolo VI, volle inviare la Sua benedizione autografa alla comunità acciarolese e all’opera realizzata. Al segno di peculiare rilievo del Santo Padre fecero poi seguito innumerevoli lettere di varie personalità di tutta la penisola. Tra i presenti di allora si segnalano il Maggiore dei Carabinieri di Vallo della Lucania, il Presidente della Pro Loco di Acciaroli, Avv. Luigi D’Amore, gli onorevoli Lettieri e Amodio, il Vicario Foraneo, Mons. Francesco Signorelli, il Sindaco del Comune di Pollica, Vincenzo Patroni, l’Assessore Comunale, Domenico Masarone, il Comandante della Stazione Carabinieri di Pollica, il Dott. Alfonso Palladino, i coniugi Gennaro e Anna Masarone (i donatori delle campane), gli ingegneri Goffredo Di Rienzo e Vincenzo Pappacena (i progettisti dell’Asilo), il Comandante della Brigata delle Fiamme Gialle di Acciaroli, il Duca della Vittoria, Dottor Marcello Diaz, il Dottor Gioacchino Cardano e consorte, l’Ispettore Scolastico della Circoscrizione di Vallo, Dottor Antonio Chianese, il Commendatore Dottor Cardarelli, Prefetto Vicario di Salerno, il Sindaco di Vallo, Professor Rinaldi. Gli illustri ospiti presenti sono stati ricevuti nell’interno dell’asilo da Don Carlo Grangetti; è la festa che consacra i suoi sogni, le sue ansie, le sue infinite tribolazioni; è la festa che schiude alle sue speranze altri vasti orizzonti; è la sagra della più giusta e grande riconoscenza ai suoi meriti, alla sua solerzia. Al recital, tenuto da alcuni bimbi del luogo, hanno fatto seguito i discorsi. L’oratore, Avv. Antonio Cucco, dopo aver fatto rivivere con un fiorito linguaggio le fasi salienti della storia dell’Asilo, specificandone il significato, gli scopi e le finalità, si è rivolto a don Carlo e a tutti coloro che lo hanno aiutato per la compera del terreno e sorretto sempre per mantenere in florida vita il vecchio asilo in casa sua. Quindi ha tessuto elogi per tutti i benefattori, le autorità, i ministri e i parlamentari, che hanno dato modo a don Carlo di avere questo gioiello. L’Avv. Cucco ha poi avuto particolari pensieri per tutti i presenti. Indi ha preso la parola don Carlo. La sua voce è rotta dalla commozione. Mentre don Carlo tesse le sue frasi coi fili di un amore inestinguibile vediamo volti rigati di lacrime e mille mani tese verso di lui. Dopo una breve pausa è la volta dell’Onorevole Sullo. Egli esordisce col dare atto del suo compiacimento per l’opera realizzata, nuovo e grande passo per l’avvenire di Acciaroli, che pur nel progresso civile, nello sviluppo del turismo, rimanga sempre Acciaroli con le sue bellezze naturali, col suo incanto di semplicità, coi suoi costumi sani, patriottici, cristiani, legata alla Patria, alla Chiesa, alla Scuola, rimanga sempre vicino al suo parroco piemontese, missionario dalle mille avventure che dall’alto scende in basso, dai grandi personaggi si accosta agli innocenti bimbi”. Il 16 ottobre del 1968, a pochi anni dall’inaugurazione dell’asilo, si registrò un nuovo evento importante per la comunità e sempre a firma don Carlo Grangetti: l’inaugurazione della Cappella dell’Asilo infantile, intitolata a San Giuseppe. Alla costruzione della Cappella presero parte l’ingegnere casertano Renato Di Blasio e l’architetto romano Maurizio Valerio Curti, i Proff. Lino e Valeria Bianchi Barriviera e il Sig. Umberto Recalchi. Il marmo pregiato della pavimentazione fu fornito e messo in opera dai Sig.ri Ragone di Salerno; le vetrate artistiche furono realizzate dalla ditta Giuliani di Roma. Esse si compongono di quattro grandi istoriate e cinque piccole figuranti simboli eucaristici. Le prime furono donate rispettivamente dalle famiglie Cardano-Crimi, De Leo Mannato, Pia De Lieto e dalla Congregazione Suore Insegnanti di Nostra Signora. Le seconde dalle famiglie Guglielmo, Amalia, Teresa, Ileana Rossi, Nina Valentino Schiavo, Giovanni Elide Mellini, Alzini Paslini, Galfrè Marrocco. L’altare vuole ricordare la giovane Enza Pedio e si costituisce di marmi pregiati. (Enza Perri Pedio, figlia dell’Avv. Giuseppe Perri e della Dott.ssa Bianca Pedio, era una giovane diciassettenne, originaria di Potenza, in villeggiatura ad Acciaroli. Abitualmente la ragazza scendeva in bicicletta dal viale del villino degli ulivi che immette sulla nazionale 276, ma il 28 settembre di quel lontano 1964, purtroppo, perse il controllo della guida e precipitò contro il muro di una costruzione adiacente alla strada. L’impatto si rivelò fatale per la giovane. Nonostante i soccorsi la ragazza cessava di vivere rendendo inutile ogni tentativo per salvarla. Fu questo per il borgo un giorno di indicibile strazio).

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“Al suggestivo rito religioso fa seguito un vibrante discorso del Vescovo: la sua parola è come un inno che corre tra spazi infiniti e nel cuore degli astanti scende come un raggio di sole. Egli ringrazia il Signore per le abbondanti grazie concesse per il compimento della splendida opera, esorta i fedeli ad essere figli più amorosi della Chiesa uniti al proprio parroco e alle suore, dispensatrici di pane materiale e spirituale per l’infanzia ed infine rivolge un grazie sentito per i benefattori ed un vivissimo elogio per l’ideatore e realizzatore della cappella accennando, nello stesso tempo, alle opere che don Carlo ha in animo di fare: laboratorio, casa parrocchiale e il restauro del tempio. Un attimo di raccoglimento e poi si leva a parlare don Carlo. E’ visibilmente commosso. Rivolge frasi di ringraziamento a S.E. il Vescovo che, con la sua presenza, ha conferito alla manifestazione un significato di grande valore, indi esterna il suo riconoscimento ed il suo affettuoso pensiero a chi diede il concorso per la costruzione della cappella; un pensiero ha pure per i donatori delle vetrate e per coloro che, anche con minime somme, hanno voluto come premiarlo nelle sue laboriose fatiche e nel contempo lasciare un segno indelebile iscrivendo il loro nome sull’album d’oro giacente ai piedi dell’altare; album d’oro conservato in prezioso marmo e sempre aperto per eventuali, nuove sottoscrizioni. Riferendosi poi alle opere citate da Mons. Biagio D’Agostino egli, col suo consueto tono paterno, ha detto: -Il laboratorio continua ad essere il mio sogno. Il locale esiste, le ragazze vi sono, le suore sono felici di prestare la loro opera, ma occorre che qualcuno mi apra una porta anche stretta stretta. La casa parrocchiale non può essere una realtà se viene a mancare l’apporto fattivo di tutti onde dare l’inizio ai lavori.. La mia sola buona volontà non basta, purtroppo! Il restauro della chiesa, farò di fede su ogni umana tribolazione, è nelle mani vostre. Occorre far presto, altrimenti la chiesa corre il rischio di veder venir giù ogni cosa: soffitto, pareti ecc.”. Il Corriere, nel marzo 1997, volle ricordare il prete di Acciaroli, come frate sorriso e come parroco alato. Primo giugno 1985: don Carlo Grangetti aveva ottantasei anni quando l’ultima ora di vita batté sul quadrante del tempo. Con lui Acciaroli vide germogliare i fiori più belli grazie alla sua instancabile opera.. Quando le cose non andavano, don Carlo non perdeva la calma. Ricordo che diceva: Oggi la Divina Provvidenza ha voluto accontentare qualcun altro, ma sono certo che non mi abbandonerà. Alla Divina Provvidenza debbo molto…? E sorrideva. Un sorriso che ti conquistava, un sorriso che era lo specchio del suo essere caritatevole, del sacerdote che era ben voluto da tutti. D’estate, per i turisti, era l’uomo amabile, la guida meravigliosa. Una prova della sua indomabile indole la fornì nell’ottobre del 1962, quando, per un vile attentato, crollò l’arco della torre che del borgo rivierasco del Cilento costituiva la carta d’identità di una storia vissuta. In quella notte lontana brillarono ventotto mine. Poi si batté tenacemente per il restauro del monumento unitamente ai cittadini ed alle autorità di un certo livello nel cosmo della politica nazionale e provinciale. Passato e presente si armonizzano nell’ora in cui, nella celebrazione delle nozze d’oro del suo sacerdozio, vide intorno a sé i residenti e gente venuta da altri centri. Don Carlo aveva celebrato la prima messa nella Notte Santa del 1928 a Bisceri, ai piedi dei Cedri del Libano. La messa del cinquantenario l’officiava in riva al mare nella mitica costiera cilentana, nella sua Acciaroli. Luci e gloria di un altro Natale. In vita fu lodato ed amato, ma dopo il trapasso, fu del tutto dimenticato da chi, invece, ne doveva onorare la memoria con atti tangibili. Tempo fa si disse di voler intitolare a don Carlo una strada o il suo Asilo o la rotonda dello scalo marittimo. Non vanno dimenticate le lotte che il mensile Cronache Cilentane conduce per tale intitolazione. Per ora sembra siano parole che il vento ha disperso! Questo silenzio fa davvero male. Comunque siamo ancora in tempo…Il suo spirito è ancora qui, su questa sponda che lo vide impegnato notte e giorno per portare avanti quanto gli stava a cuore. Noi gli fummo vicini per molto tempo e del suo alacre lavoro più volte ne riportammo i risultati con reportage su quotidiani e periodici. La nobile e simpatica figura di don Carlo ci viene incontro tra danze di perle su sfondi striati di un azzurro chiaro. Un grazie sincero giunga da queste pagine a chi, come la compianta, generosa, paziente governante, signorina Anna Di Rienzo, nel corso della permanenza di questo prete esemplare, ha mostrato sostegno e aiuto costante al grande missionario. Il 9 aprile del 1952 Don Carlo Grangetti (Padre Carlo Guglielmo Grangetti) ottenne l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana. La finalità dell’Onorificenza, destinata agli italiani all’estero, consiste nel ricompensare quanti abbiano specialmente contribuito alla ricostruzione dell'Italia nel primo dopoguerra. La normativa inerente la concessione della onorificenza conferita a Don Carlo, è stata poi modificata con Legge 3 febbraio 2011 n.13 (G.U. n.49 del 1.03.2011). Oggi il vecchio Ordine è sostituito con la Stella d'Italia. Insieme alla denominazione sono mutate finalità e classi. Con le modifiche introdotte dalla nuova legge si vuole ricompensare quanti abbiano acquisito particolari benemerenze nella promozione dei rapporti di amicizia e di collaborazione tra l'Italia e gli altri Paesi e nella promozione dei legami con l'Italia.

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Conviene con noi l’amico e collega Amedeo La Greca in un suo recente scritto intorno a don Carlo pubblicato sul periodico “Cronache cilentane”. “Oltre alla sua spiritualità, egli rileva, Don Carlo ha eretto il più bel monumento ad Acciaroli facendola conoscere tramite le sue estese relazioni; egli era sempre il punto di riferimento di ogni turista importante..” Parimenti ebbe a scrivere M. Cecelyn su “Il Mattino”: “La fortuna di Acciaroli è stata fatta dal parroco..” L’amico Amedeo La Greca sottolinea, con una certa criticità, la discutibile modalità adottata da parte del Comune di Pollica nella individuazione dei nuovi toponimi, in vista del PUC. L’amministrazione, pare, abbia operato in modo inopportuno, senza una programmazione oculata, asserisce La Greca, senza coinvolgere studiosi della materia e tenere di buon conto i veri artefici del benessere dei nostri paesi. Fra quanti si sono fattivamente operati per la promozione sociale e turistica della marina acciarolese vi è, senza dubbio alcuno, don Carlo. L’amministrazione comunale di Pollica oggi ha il tempestivo dovere di lasciare un segno importante a ricordo del nostro Pastore di anime, religioso carmelitano di origini piemontesi e parroco di Acciaroli dal 1957 al 1985. Ci piace l’idea dei colleghi di “Cronache cilentane” di volere intitolare una via, o meglio, l’intero piazzale del porto al dinamico e santo prete. Da queste colonne anche noi sollecitiamo una fattiva azione e confidiamo nella sensibilità dell’Amministrazione del Comune di Pollica. Attendiamo compiaciuti questo nobile e doveroso gesto che è atteso, ormai da tempo, da tanti acciarolesi e turisti che hanno conosciuto Don Carlo; un uomo che ha celebrato i misteri cristiani e ha portato, bussando al cuore dei fratelli, a qualsiasi prezzo e ovunque, l’annuncio evangelico. Ricordiamo Don Carlo, in sintonia ai dettati, intorno alla figura del presbitero, di Papa Francesco: un uomo collocato in appartenenza alla Chiesa e al popolo, strutturalmente missionario che è riuscito a mantenere, nel corso della sua esistenza terrena, esclusivamente ciò che è servito e può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio. Con Don Carlo, negli anni della mia giovinezza, la bella marina di Acciaroli si è sentita vera famiglia veramente visitata, in ogni momento, dalla presenza del buon Dio e vera realtà pasquale in cammino, chiamata, per grazia, a quel grande progetto salvifico che tocca il cuore di ogni uomo.

Emilio La Greca Romano

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