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Un'icona contemporanea tra i templi di Paestum. Arriva il "Cavallo di sabbia" di Mimmo Paladino

📅 giovedì 11 luglio 2019 · 📰 CulturaCapaccio-Paestum

11072019 foto cavallo Zuchtriegel

Comunicato Stampa

Dall’11 luglio, anche Paestum ha la sua icona contemporanea. Ma mentre a Pompei e Agrigento sono le opere neoclassiche di Mitoraj a mettere in dialogo l’archeologia e il contemporaneo, a Paestum è il linguaggio arcaico di Mimmo Paladino a mergersi con le architetture doriche di sesto e quinto secolo a.C. È, infatti, il primo dei famosi cavalli realizzati dall’artista, il “padre della mandria” come l’ha chiamato scherzosamente Paladino, a tornare in un luogo per il quale era originariamente concepito, ma da dove è stato portato via da tempo.

Realizzato nel 1999 per il MMMAC (Museo Materiali Minimi d’Arte Contemporanea), dopo essere stato esposto per alcuni anni nelle vicinanze del sito di Paestum, il “Cavallo di sabbia” era finito a Fisciano in provincia di Salerno, a seguito di uno sfratto e vicissitudini varie. Ora, un accordo siglato tra il Parco Archeologico di Paestum, guidato dall’archeologo Gabriel Zuchtriegel, e il MMMAC, diretto da Nuvola Lista, ha permesso di riportare l’opera, che è realizzata con sabbia presa dalla spiaggia di Paestum, al suo luogo di origine.

La drammaturgia ‘teatrale’ dell’opera


La scultura del cavallo, alta circa 4 metri, indossa una maschera di ferro che rimanda alle tombe del periodo lucano. È stata posizionata su un piedestallo tra il Tempio di Nettuno e il tempio di Hera noto come ‘Basilica’. “Tale collocazione è di grande impatto – commenta Nuvola Lista – Come in una drammaturgia teatrale, il cavallo si svelerà pian piano ai visitatori intenti ad ammirare i templi. Un incontro inaspettato con un imponente cavallo immobile che riuscirà a dare vita ad un’atmosfera sospesa nel tempo. Con tali suggestioni il pubblico si ritroverà ad essere parte dell’installazione artistica”.

L’emozione di Zuchtriegel

Emotiva la reazione del direttore Zuchtriegel, il quale confessa: “Quando l’ho visto arrivare ero così colpito da questo dialogo fra la scultura di Paladino e le colonne doriche che mi veniva da piangere. Mi sono trattenuto perché ero circondato da collaboratori e turisti, ma vi assicuro che è un’emozione molto forte vedere questa scultura nel santuario meridionale della città antica, che nell’antichità ospitava, oltra al tempio di Hera ‘signora dei cavalli’, numerose statue votive, a cui il cavallo di Paladino sembra rimandare”.

La polemica

Non mancano voci critiche, soprattutto in merito alla scelta di posizionare la scultura in un luogo così nevralgico quale lo spazio tra i due templi maggiori del sito archeologico. Sui social, infatti, tra commenti affermativi, emerge anche la preoccupazione di “un’ennesima profanazione di luoghi sacri alla cultura mondiale”. C’è chi teme di trovarsi davanti a “ignominie spacciate per opere d’arte, che degustano e profanano i luoghi dove la vera arte esiste”. I due giovani direttori reagiscono con toni placati, sottolineando che in ogni caso si tratta di un’istallazione temporanea. “Inoltre, invitiamo tutti a vedere l’opera sul posto e di continuare la discussione, l’arte serve a questo” concludono Lista e Zuchtriegel, ricordando, tra l’altro, che con l’installazione di Carlo Alfano del 1976, realizzata vis-à-vis con la celeberrima Tomba del Tuffatore su invito dell’allora soprintendente Mario Napoli, Paestum può vantare un ruolo pionieristico nel connubio tra archeologia e arte contemporanea. “All’epoca le resistenze erano ancora più forti – racconta Zuchtriegel – tanto è vero che Mario Napoli per ottenere le autorizzazioni necessarie fece passare l’opera di Alfano come ‘arredamento di giardino’, dal momento che temeva che altrimenti non glielo facessero fare”.

I cavalli di Poseidonia



Resta necessariamente superficiale e arbitrario il rapporto tra contemporaneità e archeologia finché quest’ultima viene identificata con “il mito bianco scientifico inscritto nel distacco accademico, ridotto continuamente al riconoscimento della competenza nell’applicazione di lessici e linguaggi accreditati”, come evidenziano Iain Chambers e Marta Cariello ne La questione mediterranea (Mondadori, 2019, p. 44). In altre parole, un’archeologia che si ritrae su una posizione positivista rispetto alla presunta “realtà storica” e che non affronta la propria genealogia epistemica, ignorando in tal modo la crociana “contemporaneità della storia”, non può che avere un rapporto tortuoso, conflittuale, ideologicamente irrisolto con l’arte contemporanea. Da lì la necessità, spesso ossessiva, di ristabilire una linea di distacco tra l’antico e il contemporaneo, laddove quest’ultimo è ridotto a una rilettura del passato, alla “fortuna di …”. Da questa angolazione, la rivisitazione contemporanea dell’antico appare come una minaccia alla oggettività del passato e al rigore scientifico della narrazione che ne scaturisce. Nello stesso saggio di Chambers e Cariello appena citato, gli autori ci ricordano però anche che al di fuori di questa visione positivista, esiste un altro rigore – quello “dell’elaborazione continua della conoscenza critica che, proprio per rimanere critica, deve navigare e alla fine smantellare tale ‘scientificità’ (ibidem).”

Il cavallo di Mimmo Paladino, posizionato tra i due templi del santuario Meridionale di Paestum, può essere inserito in questo dibattito. Da un punto di vista scientifico, può sembrare un’intrusione non pertinente in un contesto storico-archeologico, un intervento che è “fuori contesto” in uno spazio sacro di epoca greca. Ma tale impressione inganna. Analizzando lo spazio del santuario meridionale, scopriamo infatti che i templi greci di VI e V sec. a.C. sono “fuori contesto” da molti secoli, se non millenni. Il loro mondo “è andato in frantumi” (M. Heidegger), non da ieri, ma dagli anni della colonia romana, fondata nel 273 a.C., dal momento che i veterani romani insediatisi a Paestum furono i primi a ricontestualizzare radicalmente gli antichi monumenti greci. Inutile, quindi, illudersi di trovare qui un’esperienza autentica di una presunta realtà antica unitaria. I templi, nell’antichità, erano inseriti in un contesto urbano, di cui resta poco. Erano coperti di intonaco e colori, circondati da statue, ma soprattutto, erano vissuti attraverso rituali e celebrazioni di cui oggi non abbiamo che una pallida idea. Su questo sfondo, è certamente sbagliato pensare (come si tende a volte in ambito archeologico) che l’opera di Paladino rappresenti un’ulteriore intrusione in un contesto “storico”. Quel contesto che ormai non esiste più. Piuttosto, rappresenta un invito a ripensare in maniera critica la storia di questo luogo. Ci avvicina a una serie di tematiche e domande che il passato ci riserva.

Il cavallo di Paladino è fatto di sabbia che viene dalle spiagge di Paestum. Prima che diventasse Paestum, la città si chiamava Poseidonia, da Poseidone, il dio del mare. Ma Poseidone è anche il signore dei cavalli. È il padre del cavallo alato Pegaso, partorito dalla terribile Medusa. Come ha osservato Erika Simon, i cavalli di Poseidone non sono necessariamente addomesticati, ma in origini sono selvaggi e potenti al pari del mitico Pegaso (Die Götter der Griechen, Hirmer, 1969, pp. 70-71). Simboleggiano dunque una forza naturale e primordiale, ma anche un’utilità che l’uomo ne può trarre. La stessa ambiguità caratterizza il rapporto tra Poseidone e il mare. Il mare è una fonte di ricchezza, ma anche un pericolo mortale, come sa bene Ulisse perseguitato dal dio del mare per dieci anni prima di tornare alla sua Itaca. Poseidone, dunque, rappresenta le forze naturali nella loro ambiguità tra minaccia e beneficio, tra calamità e sfruttamento. E ciò ci riporta alla storia di Poseidonia, anzi, ci apre una prospettiva su una possibile spiegazione del nome della città. Perché Paestum in origine è la città di Poseidone? Forse perché sin dalla sua fondazione gli abitanti, giunti qua via mare, combattevano con l’acqua: dobbiamo immaginare che nel momento dell’arrivo dei coloni greci in queste terre, intorno al 600 a.C., il sito della futura città di Poseidonia era circondato da paludi, corsi d’acqua (ancora oggi il Capodifiume costeggia le antiche mura), lagune. Il mare era più vicino. Inoltre, il sito si trova in una zona ad alto rischio sismico – non solo le acque scorrono, persino la terra si muove! E chi la muove, se non lo “scuotitore della terra”, come Poseidone veniva chiamato già da Omero? Contro questo ambiente fluido e umido, i Greci hanno eretto delle costruzioni estremamente solide: i templi, ma anche le tombe a cassa, fatte di grandi lastre di travertino, come quella del Tuffatore. Recenti scavi hanno dimostrato che anche le case private della colonia di Poseidone potevano raggiungere una notevole monumentalità. La storia di Poseidonia si spiega sullo sfondo della duplice natura del dio che ha dato il nome alla città: l’acqua, il mare erano percepiti come una risorsa e come la base della connettività mediterranea, ma anche come una minaccia continua. E il cavallo poteva essere quello selvaggio, assimilabile ai centauri incattiviti che vediamo combattere contro Eracle sulle metope dal santuario di Hera sulla foce del Sele, ma anche quello addomesticato su cui i cavalieri di Poseidonia andavano in guerra e le cui effigi erano allestite nei santuari della città – più o meno nello stesso luogo in cui oggi sorge la scultura di Paladino. Dei doni votivi di statue di cavalli e cavalieri che dovevano abbellire lo spazio intorno ai templi non è rimasto nulla se non qualche frammento di statuetta, come la splendida testa bronzea di un cavallo di VI sec. a.C., trovato nello stesso santuario meridionale che oggi ospita l’opera di Paladino.

Ma c’è di più. L’ambiguità che caratterizza il rapporto tra la città di Poseidonia e i vari domini del dio a cui è intestata (l’acqua, la terra, l’animale nel suo oscillare tra selvatico e addomesticato) è un tema che oggi assume una valenza molto concreta. L’alzamento del livello del mare a causa dei cambiamenti climatici, che secondo uno studio recente dell’università di Kiel potrebbe comportare l’inondazione dei templi di Paestum (Reimann et al., Mediterranean UNESCO World Heritage at risk from coastal flooding and erosion due to sea-level rise. In Nature Communications: 16 october 2018), ma anche la riduzione della biodiversità causata dall’uomo, ripropongono – seppure su una scala molto più drammatica – la questione dell’equilibrio tra uomo e natura, che i Greci di Poseidonia hanno affrontato a modo loro e che viene ora nuovamente evocata dall’opera di Paladino.

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