In Europa più di 3 milioni di giovani studenti non completano il percorso di studi scelto. L’Italia, secondo l’analisi fornita dalla Commissione, è al secondo posto nella classifica dei peggiori risultati universitari europei. Il fenomeno dell’abbandono degli studi è, spesso, dovuto a un percorso scolastico/formativo, segnato dall'insuccesso e da un rapporto conflittuale con l'istituzione. Per quanto riguarda la dispersione scolastica diffusa negli altri gradi di scuole, il Covid ha alzato i numeri. Rischia un alunno su quattro.
Grazie ai fondi del Recovery fund abbiamo un’occasione unica: “..tornare al tempo scuole pre-Gelmini, allargare gli anni di obbligo, potenziare il Pcto nel triennio finale delle superiori. Oltre che ridurre il numero di alunni per classe, potenziare gli organici e assumere tutti i precari con più di 36 mesi di supplenze…”La scuola fornisce una preziosa opportunità: i percorsi post diploma. L'offerta formativa del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore è di livello terziario, parallela a quella accademica, strettamente collegata alla realtà del sistema produttivo e del mercato del lavoro e, per questo, capace di rispondere alla domanda di tecnici specializzati proveniente dai settori portanti dell'economia, Gli ITS - Istituti Tecnici Superiori, si rappresentano scuole di alta tecnologia. Una ulteriore opportunità per i giovani in possesso del diploma. La finalità di questi Istituti consiste nella formazione di tecnici in aree tecnologiche strategiche quali la mobilità sostenibile, l’efficienza energetica, il made in Italy, le nuove tecnologie per la vita, i beni culturali e il turismo, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
“La scuola deve tornare nel cuore di tutti, soprattutto di chi non va a scuola”. Lo sostiene il Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. E ancora: “Oggi tutte le statistiche dicono che la nostra dotazione di risorse umane non è adeguata alla globalizzazione e alla digitalizzazione che si sono imposte dall’inizio del nuovo secolo. Il tasso attuale di dispersione scolastica, sia esplicita (coloro che abbandonano in via definitiva la scuola senza raggiungere un titolo di studio) sia implicita (coloro che pur concludendo il ciclo di studi non dispongono delle competenze minime richieste), insieme al numero di quanti non studiano e non lavorano e di quanti se ne vanno altrove per trovare uno sbocco soddisfacente al loro percorso di studi, sono oggi un limite alla crescita economica e minano anche le fondamenta della nostra democrazia, introducendo nel paese il virus dell’iniquità sociale”.
In Europa più di 3 milioni di giovani studenti non completano il percorso di studi scelto. I paesi dell’abbandono sono: Belgio, Grecia, Francia, Italia, Ungheria, Olanda, Austria, Polonia, Romania, Slovenia. Questi rappresentano il più elevato tasso di abbandono universitario. La misura dei dispersi d’Europa si aggira intorno al 24% e interessa l’età anagrafica compresa nell’arco di tempo anagrafico tra i 20 e i 35 anni. Un addio alla laurea per inserirsi, o provare a farlo, nel mondo del lavoro. L’Italia, secondo l’analisi fornita dalla Commissione, è al secondo posto nella classifica dei peggiori risultati universitari europei. Il nostro paese avrebbe registrato infatti 523.900 abbandoni solo nel 2017: 289.900 da parte di studenti e 234.000 da parte di studentesse. Il tasso di laureati rimane coerentemente molto basso: raggiunge solo il 26,5% per persone in età compresa fra i 30 e i 34 anni. Nella fase dell’immatricolazione gli studenti si presentano in genere abbastanza convinti riguardo al percorso di studi da intraprendere, alle motivazioni e alle aspettative di formazione ma, successivamente, per ragioni personali e non connesse ai vari Atenei, le loro aspettative vengono in qualche modo disattese, facendo venir meno quegli stimoli iniziali che li avevano indotti a proseguire. In altri casi il fenomeno dell’abbandono affonda spesso le sue radici in un percorso scolastico/formativo segnato dall'insuccesso e da un rapporto conflittuale con l'istituzione formativa. Da ciò, inevitabilmente, ne consegue lo strutturarsi di atteggiamenti negativi e di rifiuto nei confronti dell'esperienza universitaria. Molti studenti, sulla base di questa esperienza negativa, la percepiscono condizione frustrante e minacciosa.

Per Eurostat l’abbandono universitario “è imputabile a ragioni diverse: per il 24 percento degli studenti di età compresa tra i 20 e i 35 anni, la spinta alla rinuncia, soprattutto tra gli uomini, proviene da un desiderio, o da una necessità effettiva, di entrare nel mondo del lavoro. Le donne al contrario lasciano i loro studi universitari soprattutto per motivi di famiglia; infine, in modo trasversale, Eurostat indica che la maggior parte dei giovani lascia l’Università a causa delle difficoltà incontrate dal punto di vista dello studio. Solo una minima parte degli studenti, invece, rinuncia a laurearsi per motivi economici. In Italia, a ulteriore conferma delle nostre difficoltà nel settore, è molto basso il tasso di laureati, che raggiunge un 26,5% – in età compresa fra 30 e 34 anni (dati 2017) – molto lontano dai valori del resto d’Europa, in cui la media dei laureati arriva vicino al 40%”. Per quanto riguarda, invece, la dispersione scolastica diffusa nei vari altri gradi di scuole, il Covid ha alzato i numeri. Rischia un alunno su quattro. Anief ritiene che sia utile attivarsi per garantire più tempo scuola, “facciamo come in Francia”, dice Marcello Pacifico, il Presidente del Sindacato dei Prof.“Piuttosto che pensare di ridurre un anno le superiori dovremmo pensare a risolvere il problema del ritardo delle competenze dei nostri giovani ampliando il numero di anni di obbligo formativo: è giusto quindi introdurre il modello francese anche in Italia, come sarebbe auspicabile anche estenderlo sino al conseguimento del diploma di maturità. Non possiamo permetterci, come purtroppo sta accadendo, di incrementare ulteriormente i tassi di dispersione scolastica e di Neet. Grazie ai fondi del Recovery fund abbiamo un’occasione unica: tornare al tempo scuole pre-Gelmini, allargare gli anni di obbligo, potenziare il Pcto nel triennio finale delle superiori. Oltre che ridurre il numero di alunni per classe, potenziare gli organici e assumere tutti i precari con più di 36 mesi di supplenze. Anche su questi aspetti attendiamo di essere convocati, come sindacato rappresentativo che conosce la scuola e vuole il bene di chi vi vive tutti i giorni”. E' ormai risaputo, comunque, che il diploma di laurea non è sufficiente per trovare lavoro, occorrono le competenze. Ne è convinto Giovanni Biondi, presidente di Indire, l’istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca innovativa. «Quello di cui c’è bisogno oggi sono le competenze, non il titolo di studio, perché spesso i due non sono allineati. Sul mercato di certi settori, come quello informatico, dell’intelligenza artificiale eccetera, è questo che serve, ho un figlio che aveva fatto Informatica all’università e non si voleva laureare perché diceva: nessuno mi chiede mai la laurea. L'ho pregato io di laurearsi, ma era praticamente un piacere personale. Sono un padre di vecchia generazione e a lui mancava solo la tesi. Probabilmente però aveva ragione lui». L'offerta formativa del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore è di livello terziario, parallela a quella accademica, strettamente collegata alla realtà del sistema produttivo e del mercato del lavoro e, per questo, capace di rispondere alla domanda di tecnici specializzati proveniente dai settori portanti dell'economia, interessati dall'innovazione tecnologica e dall'internazionalizzazione dei mercati. Il sistema di istruzione e formazione tecnica superiore risponde all'esigenza di formare quadri intermedi ad elevata specializzazione tecnico-scientifica a sostegno della competitività delle imprese che hanno bisogno di giovani capaci di orientarsi nello scenario dell'innovazione tecnologica. Gli ITS - Istituti Tecnici Superiori, si rappresentano scuole di alta tecnologia. Una ulteriore opportunità per i giovani in possesso del diploma. La finalità di questi Istituti consiste nella formazione di tecnici in aree tecnologiche strategiche quali la mobilità sostenibile, l’efficienza energetica, il made in Italy, le nuove tecnologie per la vita, i beni culturali e il turismo, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La proposta degli ITS apre al livello terziario non universitario, alla formazione di figure specialistiche di alto profilo di cui le nostre aziende hanno bisogno, costituiscono il modello duale italiano. Si caratterizzano con fino a duemila ore di formazione nel corso di un biennio post diploma. I docenti, per provenienza, in misura del 50%, si distinguono per la provenienza dal mondo lavoro. I corsi prevedono almeno il 30% di ore di tirocinio in azienda. "Dalla loro istituzione gli ITS hanno dato concrete opportunità ai giovani che li hanno frequentati dopo un’attenta selezione in ingresso: su un campione di n. 68 percorsi conclusi, per un totale 1.214 diplomati, risulta già occupato il 64,66% dei corsisti. Oggi, con diverse Fondazioni, gli ITS sono presenti in tutto il Paese e continuano a progettare e a costruire precisi percorsi formativi con aziende di respiro internazionale e con un forte tasso di innovazione tecnologica per acquisire una cultura tecnica e scientifica in contesti applicativi integrata da una padronanza delle lingue straniere in campi operativi". Questa tipologia d'indirizzo, da considerare a seguito del conseguimento del diploma, può rappresentarsi risposta di certezza di futuro e di successo. Gli I.T.S. offrono numerosi corsi relativi a sei Aree Tecnologiche specifici Ambiti per una formazione in armonia con le aspirazioni dei ragazzi e con le esigenze produttive nazionali. Le Aree Tecnologiche degli I.T.S. sono: efficienza energetica; mobilità sostenibile; nuove tecnologie della vita; nuove tecnologie per il Made in Italy; tecnologie innovative per i beni e le attività culturali - turismo; tecnologie della informazione e della comunicazione.

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