Al via il Concorso Nazionale di Giornalismo Scolastico 2021. La preziosa testimonianza di Indro Montanelli
di Emilio La Greca Romano | BlogE’ vero che, spesso, dalla scuola si fugge. E’ vero che il tasso di dispersione della popolazione scolastica in Italia è del 14,5%, ma è sicuramente certo, per chi la scuola la vive con passione ed interesse, che in essa vi trova mille opportunità di formazione e crescita. Tante sono le proposte formative, infatti, che l’istituzione scolastica in lungo e in largo offre ai nostri giovani. Tantissimi studenti nelle nostre scuole guardano con interesse all’attività del giornalista. Molti sono gli adolescenti affascinati da questo mondo. Aspirano a svolgerla diffusamente e la dimostrazione di questo peculiare interesse nel confronti della carta stampata e ormai delle testate on line è riscontrabile dal successo delle iniziative editoriali nelle scuole.
I fatti, gli avvenimenti fanno legame fra persone, mettono in contatto, consentono interessanti scoperte e garantiscono, spesso, piacevoli e arricchenti interrelazioni. Il mondo tecnologico entro il quale oggi viviamo ci permette di essere, con la notizia, immediata presenza in ogni dove. Ovviamente questa professione, come le altre, richiede una seria formazione di base, un costante aggiornamento. Prima di fare esperienze sul campo è necessario partire dai libri. Proprio dallo studio puntuale e costante si apprendono le regole e i segreti del mestiere. Da quasi un decennio, fra l’altro, i giornalisti hanno l'obbligo/opportunità della formazione professionale costante. Le diffuse e costose scuole per giornalisti ormai non bastano, occorre investire anche nella formazione culturale di base. Dire preparazione di base vuol dire fare somma di padronanza linguistica e capacità tecnica. I primi passi verso il mestiere più bello del mondo si possono già fare a scuola. Dietro ai giornali scolastici, spesso, si nascondono le qualità di scrittura e i buoni giornalisti di domani. Quest’anno gli alunni del nostro Paese possono partecipare al Concorso Nazionale di Giornalismo Scolastico 2021 – Penne Sconosciute XXIII Edizione e Video Sconosciuti XVIII Edizione – anno 2021.
I Concorsi sono stati indetti dal Comitato Penne e Video Sconosciuti della Pro Loco di Piancastagnaio (SI), in collaborazione con il Comune di Piancastagnaio. I Concorsi, che fanno parte del progetto “La comunicazione tra le generazioni – memoria per il futuro”, sono aperti a tutte le scuole, dalle primarie alle superiori ed a gruppi autonomi. Il Concorso “Penne Sconosciute” si articola in cinque sezioni; i giornali redatti, inviati insieme alla scheda di partecipazione, saranno selezionati da una Commissione esperta.
Il Concorso “Video Sconosciuti” si articola in cinque sezioni; i video, inviati insieme alla scheda di partecipazione, dovranno trattare argomenti vari come documentari, reportage, videoclip e saranno selezionati da una Commissione di esperti. Sempre più ampiamente il mondo scolastico deve abbracciare il giornalismo, attivandosi con specifici corsi finalizzati a fornire competenze esecutive e di natura sia pedagogica che metodologica, per creare percorsi e attività giornalistiche. Con l’adesione ai corsi di giornalismo si potrà sempre più motivare interesse e passione per il mestiere più bello del mondo. I ragazzi dovrebbero saper leggere la notizia con attenzione, razionalità e capacità critica. I giovani hanno bisogno, anche per l’uso semplice del web, delle regole fondamentali di scrittura. Dovrebbero saper fruire dell’informazione anche tanti docenti chiamati poi a svolgere il compito educativo e informativo nelle rispettive classi. Bisogna ormai saper comunicare anche attraverso i media e rendere capaci d’azione comunicativo-informativa gli allievi. Attualmente basta utilizzare un qualsiasi social per essere tutti dei produttori di “notizia” e fare comunicazione. Bisognerebbe offrire più larghe opportunità di formazione ai proff tanto da renderli utili a svolgere il compito di docente/formatore, guida giornalistica preziosa nella propria classe. Piace proporre la figura di Indro Montanelli, maestro di giornalismo. Una testimonianza preziosa tratta dalla lezione di giornalismo. Dal testo una confessione di Montanelli, convinto assertore del “giornalismo al capolinea”. Montanelli, espressione del giornalismo classico, fra le altre cose suggerisce: “Se qualcuno di voi vorrà fare questo mestiere, sfuggite alla tentazione dello scoop! Ricordate che esso è la scorciatoia dei somari”. Ecco il nutrito intervento di Montanelli all’Università di Torino, tenuto il 12 maggio 1997. “So che molti di voi sono interessati al giornalismo e ai mezzi di comunicazione. Io questa passione ho cominciato a coltivarla già dal ginnasio, non ho mai voluto far altro che il giornalista, con gran disperazione di mio padre. Lui, da bravo preside di un liceo, lo considerava con molto disprezzo come un mestiere piuttosto aleatorio. Ma il giornalismo è stato la grande vocazione della mia vita. Vi confesso però che, sebbene abbia amato e continui ad amare questo mestiere, non posso consigliare a nessun giovane di intraprenderlo oggi, perché credo che il giornalismo sia ormai al capolinea. Dovrebbe trasformarsi completamente, in un senso che non so prevedere. Sono attaccato a dei ricordi e provengo da una certa scuola, e a quest’età mi è molto difficile pensare a qualcosa di diverso. Spero per voi che abbia luogo una trasformazione completa, che tenga conto dei fatti gravi accaduti nel tempo – tra cui molte colpe e deviazioni dei giornalisti -, dell’ingresso di tecnologie nuove, di tutto un ribaltamento del costume.
Il giornalismo classico, dal quale non mi saprei mai distaccare, è impossibile che si possa adeguare. Quando cominciai, circa 60 anni fa, avevamo come tocco tecnologico la macchina da scrivere Olivetti Lettera 22, sulla quale continuo a scrivere. Non la producono più, per questo ne ho accaparrate presso gli antiquari cinque, che ho dislocato in vari punti. Oltre questo non posso andare. Io il fax non lo so usare, una cara persona se ne occupa per me, altrimenti non saprei neanche infilare il foglio. Noi giornalisti dobbiamo fare i conti con un nemico mortale. Anziché combatterlo, ci siamo messi al suo servizio: è la televisione. Ho le stesse idee di Popper, la televisione è la più grossa iattura che potesse capitarci, perché è stata utilizzata in modo tale da esserlo. I giornali sono diventati i megafoni della televisione, per questo troviamo titoli a otto o nove colonne su Pippo Baudo o la Parietti. La televisione potrebbe essere un grande strumento di cultura, ma non lo è. Questi però sono affari suoi. Ciò che è affar nostro è di esserci messi a fare i megafoni, copiandone anche i costumi e riconoscendone la supremazia. L’Italia, oltre ad aver sempre mescolato il serio con il futile, ha sempre preso il futile come l’unica cosa seria. E noi non facciamo che adeguarci, portando agli eccessi questa perversione del nostro costume. Ma c’è di peggio. La televisione insegna ed apre la strada al protagonismo, che portato nel giornalismo ha effetti catastrofici. La televisione aizza quel pessimo incentivo tipico dei cattivi giornalisti, la ricerca a tutti i costi dello scoop. Se qualcuno di voi vorrà fare questo mestiere, sfuggite alla tentazione dello scoop! Ricordate che esso è la scorciatoia dei somari. Consente di arrivare prima, ma male. Il pubblico è uno strano animale, sembra uno che capisce poco ma si ricorda, e se vi giocate la sua fiducia siete perduti. Questa fiducia bisogna conquistarsela seriamente e faticosamente, giorno per giorno. Questo non ci mette al riparo dall’errore, ma impone l’obbligo di denunziare noi stessi, quando ci accorgiamo dell’errore, e di chiedere scusa al lettore. Se volete fare questo mestiere, ricordatevelo bene. È un mestiere che richiede molta umiltà, molta, e il protagonismo è in contrasto con questa legge fondamentale. Oggi io vedo i direttori nuovi. Sono bravissimi, intendiamoci, hanno tra i 40 e i 50 anni, potrebbero essere miei figli. Ma non stanno in direzione, li ho sotto gli occhi, stanno nell’ufficio marketing, perché la cosa fondamentale di un giornale è la cosiddetta audience.
L’audience procura pubblicità, perché un giornale non deve solo vivere, ma deve anche produrre soldi, soprattutto se vuole essere indipendente. Un giornale che deve chiedere soldi a qualcuno è per forza di cose suo servo. Io ho perso la Voce perché non riuscii a portarlo in attivo. È l’audience nelle sue forme più volgari che ci obbliga a involgarire il giornale, che per stampare deve battere questa strada. Questa strada però non ci conduce a niente. Noi avremo un giornalismo sempre peggiore perché sempre più in cerca di audience, sempre più in cerca di pubblicità e quindi sempre più portato ad assecondare i peggiori gusti del pubblico, invece di correggerli.
Intendiamoci, il pubblico è sempre il nostro padrone, non si può prenderlo di petto ma lo si deve educare. Senza mostrarlo però, perché non c’è niente di peggio degli atteggiamenti da mentori. Non so se il giornalismo è capace di compiere un’evoluzione in questo senso, ma io non ne vedo i segni. Se io avessi 40 anni di meno, tenterei di nuovo di fare un giornale. Ora qualcuno si meraviglierà, ma seguirei la strada aperta dal mio arcinemico Ferrara con il Foglio. Quel giornale è probabilmente ciò che avrei dovuto fare io con la Voce, che non ebbi la forza e la possibilità di fare. Un giornale che adeguasse immediatamente i suoi mezzi ai costi, con poche pagine, che potesse fare a meno di gran parte della pubblicità, con dei giornalisti – ahimé – pagati poco. Ma noi siamo sempre pagati poco, questo mestiere non si fa per i soldi. Anzi, se incontrate un giornalista ricco, diffidatene. Il giornalismo non conduce alla ricchezza, può condurre al benessere, per carità. Io non mi lamento affatto, ho quanto mi basta e anche di più per campare bene. Ma il giornalista ricco è un giornalista che puzza perché si è servito del mestiere per raggiungere altri obiettivi. Un giornalista che si asservisce al mestiere – chiedendo scusa al procuratore Maddalena – lo fucilerei. Come vedete non vi porto buone notizie, però, a questo punto, devo dirvi anche un’altra cosa. Avrò forse fatto un mestiere sbagliato, ma non lo rimpiango. Credo che il giornalismo in Italia abbia svolto una missione, quella di strappare la cultura italiana ai suoi fortilizi, alle sue cosche mafiose. Chiedo scusa di ricambiare così male la vostra ospitalità, ma devo dirvi che il giornalismo questo compito lo ha assolto per decenni, portando la cultura in mezzo al pubblico. La cultura italiana ne aveva un gran bisogno, perché non sa parlare al pubblico. Ha un linguaggio suo, intraducibile nel linguaggio comune. Forse voi sapete che io non ho molto di che compiacermi del ‘68 e di ciò che ho fatto lì, perché porto ancora addosso i segni e le tracce, ma, i moventi lontani di quei ragazzi che mi misero addosso un bel mucchio di pallottole, forse se avessi avuto la loro età li avrei condivisi. Mi sarei certamente allontanato perché il modo in cui volevano rifare le cose era sbagliato, ma qualcosa c’era. Nella ribellione a un certo modo baronale di intendere la cultura, qualcosa di giusto c’è. Chi di voi vorrà fare questo mestiere, si ricordi di scegliere il proprio padrone, il lettore. Si metta al suo servizio e parli la sua lingua, non quella dell’accademia. Porti la cultura dell’accademia alla comprensione. Badate che questo è stato il più grave dei tradimenti commessi in Italia, e ne sono stati commessi parecchi. Volete le prove? Prendete un qualsiasi scritto di chiunque dell’Italia del ‘700 e mettetelo a confronto con le pagine dell’enciclopedia francese. Le pagine di Voltaire, di D’Alembert, sono chiare e limpide, tutto si capisce. Nelle altre non si capisce nulla: lingua togata, irreale, del principe. Lingua di cultura al servizio del signore, che poi è diventato partito. E quindi è anche peggiorata, perché era meglio servire un duca o un cardinale che un partito. Era meno ignobile, anche se era ignobile anche quello. Ricordatevi che la cultura in Italia non si è mai diffusa, quel poco che è stato fatto è stato fatto dal giornalismo. Se volete fare questo mestiere, questo è l’impegno che dovete assolvere. Per farlo non c’è sofferenza che ve ne possa sconsigliare, e questo mestiere è bellissimo. Non conduce a niente ma è bellissimo. Il giornalismo si fa per il giornalismo, e per nessun’altra cosa”.
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