Alcatel, non passa il piano Romani I tre lavoratori ancora chiusi dentro
SALERNO — Non passa la proposta del viceministro alle Telecomunicazioni Paolo Romani per sbloccare la vertenza Alcatel Lucent di Battipaglia. Giacomo, Umberto e Pietro, asserragliati da 26 giorni all’interno dello stabilimento, continuano a restare dentro fino a che il Governo non dica «a chiare lettere» che l’imprenditore salernitano Pierluigi Pastore e la cordata di imprenditori locali e interni allo stabilimento battipagliese (riunitisi sotto la sigla della srl Mbo) sono estromessi dal progetto industriale. C’è un passaggio nel comunicato inviato da Romani ai sindacati nazionali e ai vertici milanesi della multinazionale francese di cui i lavoratori non si fidano.
«Ho avuto modo di constatare - scrive Romani - che sussistono le condizioni sostanziali per l’attuazione di un nuovo progetto industriale che Alcatel Lucent ha assicurato di prendere in considerazione senza pregiudiziali», ma a una condizione: che si sblocchi la protesta e si riprenda la produzione. I dipendenti insistono affinché nei documenti ufficiali sia inserito l’«azzeramento del tavolo». Disposti a prendere anche in considerazione l’ipotesi dell’ingresso nella cessione dell’azienda genovese Vivado. Il Governo non lo fa e, quando mercoledì notte, i sindacati nazionali Fiom e Fim insieme alle Rsu aziendali sono tornati da Roma è cominciata la notte più lunga per i lavoratori dell’Alcatel. Il malcontento è scoppiato all’una di notte. Due ore di discussione infuocata dinanzi ai cancelli dello stabilimento prima che Emilio Lunati (Fim) e Fabrizio Potetti (Fiom) entrassero all’interno per informare dell’incontro romano a Giacomo, Pietro e Umberto.
Alle sei di giovedì mattina un’altra assemblea, a cui a sorpresa ha partecipato anche Giacomo. «È tutto ambiguo - dice - ci stanno prendendo in giro un’altra volta. Ci stanno rubando il lavoro e nessuno si arrabbia. Ho due figli a casa a cui voglio garantire un futuro. Questa battaglia la faccio per loro». Giacomo è provato e smagrito. Sua moglie lo aspetta fuori con il figlio di 14 mesi che a stento lo riconosce. «A me non piace stare lì dentro - dice ai compagni - ma se non fossimo lì, la trattativa con Pastore sarebbe già andata in porto». Dopo un’ora lascia l’assemblea, per ritornare poco dopo, non prima di aver trascorso qualche attimo con moglie e figlio. Gli animi sono esasperati. «Mi deve venire a prendere la polizia? Volete la vita delle persone? - grida disperato - per questa causa io ve la do. Questa battaglia la combatto io. Voi andate a casa, io resto qua». Ma i compagni non smontano il presidio e continuano a lottare.
A. C.







