L’AGONIA DEL FIUME MINGARDO
Ci risiamo: quando arriva la “stagione” il fiume Mingardo si presenta, almeno nel suo tratto vallivo, pressoché moribondo. Tutti si lamentano, arrivano segnalazioni ed esposti, la Procura ordina sequestri, che quest’anno sono risultati massicci, ma poi, miracolosamente si fa per dire, tutto torna come sempre: il fiume viene aggredito pesantemente dal cosiddetto “turismo sostenibile”, perché così viene definito dagli operatori del settore e dalla amministrazione comunale.
Il fiume nasce dal Monte Cervati (mt. 1898), prende il nome di Faraone dalla sorgente fino al paese di Rofrano, quindi di Mingardo fino alla foce, per 38 Km.
Scorre per tutto il suo corso in Zona 1 del parco nazionale ed è stato identificato come Sito di Importanza Comunitaria (IT8050013) in ottemperanza Direttive Cee. Il fiume rappresenta infatti una via di migrazione per molte specie di uccelli, nonché un’area tropica per gallinella d’acqua, cormorano, airone cinerino, garzetta, gabbiani etc. che tendono a svernavi .

Il suo corso presenta tratti alquanto suggestivi, come la Gola del Diavolo che si apre nel massiccio dolomitico del Monte Bulgheria su cui si affaccia il paesino fantasma di San Severino (Centola). Alla foce si trova un monumento naturale come l’Arco che il mare ha aperto nella falesia dolomitica di Capo Palinuro.
Il fiume possiede un regime pressochè torrentizio, per cui nella stagione estiva tende a diminuire la sua portata, ma è da una decina di anni che si registra una notevole secca del corso vallivo con gravi conseguense per la biodiversità. Non era così 30-40 anni fa quando per testimonianze orali e fotografiche il Mingardo era in estate meta ricercata da bagnanti e pescatori. Alla sua foce si pescavano muggini, anguille, spigole, carpe etc.
Nell’AtlanteAmbientale della Campania 2003 (pag.73) si riporta che nel Cilento è provata l’esistenza di 2300-2500 specie vegetali superiori non coltivate, ma “molte di queste specie sono a rischio di estinzione per le modificazioni e le trasformazioni antropiche di molti habitat, all’inquinamento delle acque, all’uso indiscriminato di pesticidi che, avvelenando le acque dei fiumi e delle falde sotterranee, mettono a rischio intere comunità animali e vegetali”.
E’ noto che i corsi d’acqua costituiscono per il loro isolamento geografico delle vere e proprie “isole ecologiche”. Pertanto, le comunità biotiche dei fiumi sono tra le più esposte all’impoverimento di biodiversità e alla estinzione totale di specie endemiche, a causa dell’inquinamento o dell’essiccamento del loro corso.
Ebbene, come vedremo, contrariamente a quanto prevede la legge 152/99 che privilegia (art.10) i corsi d’acqua che attraversano il territorio nelle Aree Protette al fine della protezione della vita dei pesci, anche il Mingardo soffre da tempo per inquinamento e prosciugamento, per cause antropiche, del suo corso.
Sorgente: fistole del Faraone
Il Consac è il consorzio che gestisce l’acquedotto che serve più di 20 paesi rivieraschi del Cilento. Preleva l’acqua potabile dalle sorgenti del Mingardo-Faraone e da pozzi. Il prelievo è strato incontrollato fino al 2006, cioè abusivo, tanto che vi sono stati esposti e denuncie (wwf e altri) alla procura e alla Corte dei Conti. Poi la regione autorizzò un prelievo di 159 l/s.
La richiesta di acqua intanto cresceva con i bisogni umani, ma il fiume dava segni di evidente sofferenza, tanto che nel 2000 la procura impose l’istallazione di misuratori. La regione, cedendo alle continue richieste di maggior emungimento, concesse di aumentare il prelievo fino a 184, forte di uno studio di un tecnico di parte che indicava in 580 l/s il prelievo possibile senza danni alle falde.
Sebbene il Minimo Deflusso Vitale del fiume sia stato calcolato di 270 l/s, nella conferenza di servizi tenutasi nel 2008 per le continue richieste del Consac di aumentare l’emungimento (il pretesto è sempre quello della crescita economica del Cilento), la derivazione d’acqua, autorizzata dal Parco, veniva portata a 260 l/s, sebbene il comune di Rofrano presentasse una relazione tecnica (27/12/2007) in cui si riferiva le condizioni di forte sofferenza di un pozzo denominato Polarito I.
Quest’anno si è ripetuta la secca del 2007 per il Mingardo - e gli incendi che hanno colpito le rupi della gola del fiume.

Piccole pozze rimangono qua e là, dove agonizza la fauna ittica superstite. Pertanto, suonano come una burla i dati riportati nel sito del Parco che riguardano il Mingardo: “corso fluviale idoneo sia per i Ciprinidi come la Rovella sia per specie come il Barbo. Nel basso corso è segnalato l’Odonato e alla foce il ciprinodontide Nono. Questo corso d’acqua inoltre garantisce per tutto l’anno i requisiti per la sopravvivenza della Lontra”.
Inquinamento chimico del suo corso
Nel fiume versano i reflui dei depuratori comunali di vari paesi che si affacciano sulla valle, quali Rofrano, Montano Antilia, Laurito, Alfano, Celle di Bulgheria, Depuratori che, secondo una ricerca fatta nel 2004, risultano essere in gran parte non funzionanti. Tanto è vero che, in seguito ad un esposto dello stesso anno, la procura di Vallo della Lucania rinviò a giudizio il responsabile del depuratore del comune di Alfano. Alla stazione di Alfano , infatti, i dati Arpac indicavano la presenza di metalli pesanti e nitrati superiore ai limiti di legge.

Nell’ultimo tratto verso la foce, dopo forti piogge, si rileva spesso grande quantità di schiuma bianca, dovuta verosimilmente a tensiottavi , tracimata da depuratori mal funzionanti di paesi a monte. Il fenomeno è ben visibile dopo la cascata che rimescola le acque sotto il ponte della via litoranea, a cavallo del confine dei comuni di Centola e Camerota .
Adesso, come già da qualche anno, le condizioni estive del fiume si presentano disastrose . Le associazioni si mobilitano di nuovo, alcuni turisti che frequentano da 20 anni il villaggio Arco naturale si lamentano, segnalando il quasi prosciugamento del fiume. Pertanto per consentire il passaggio di barche e gommoni si draga il fiume che “sembra ormai il Mekong” e non un Sito di importanza comunitaria nel Parco nazionale. Rincara la dose il geologo Ortolani del Dipartimento Ambiente dell’Università di Napoli che consiglia di rilasciare l’acqua del Faraone, captata per gli usi domestici dei paesi rivieraschi.
Come si vede, non solo le associazioni ecologiste sono in prima linea a denunciare lo stato di progressivo degrado di un area a protezione integrale del Parco nazionale, che dovrebbe essere tutelata e preservata anche “per il godimento delle future generazioni”. P. Abbate
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