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APPUNTI SULLA MEMORIA DEDICATI AL CILENTO di Bianca Fasano

📅 sabato 19 novembre 2011 · 📰 CulturaCilento

Velia articolo di bianca fasano
Credits Foto OpEd

foto autoredi Bianca Fasano | Blog

Cilento. La prima volta che questo nome mi fu noto, non richiamò alla mente nulla. Lo ammetto: per me era un territorio sconosciuto. Oggi a questo nome risuonano nella memoria voci, suoni, canti. Le immagini, le sensazioni, le visioni, ancora di più.

La casa dove abitavo i primi anni era preda del vento, della pioggia, del buio (di notte), e delle volontà naturali del fiume Alento, da cui il territorio prende il nome (cis alentum).

I miei primi articoli parlavano spesso dell’Alento. A lui debbo la necessità che mi spinse a varcare le soglie del giornalismo: ci veniva a visitare direttamente in casa.


Le difficoltà quotidiane del vivere in questa splendida area erano, allora, tante. Ma si respirava libertà: non v’erano cancelli né mura. Soltanto immensi spazi racchiusi da immenso mare e protetti da immense montagne.

L’archeologo Mario Napoli, conosciuto personalmente, si dichiarava sindaco di Velia. Sentirlo parlare di quanto si dovesse fare per salvaguardare l’area archeologica era una esperienza vivissima per la me stessa di allora.

Giorgio Bassani, il mitico autore del Giardino dei Finzi Contini”, de “Gli occhiali d’oro” e di tanti splendidi lavori letterari, scrisse per Velia una poesia. Parlava di una sua visita a Velia, accompagnato da una straniera alta e bionda, che lui comparava, con l’immaginazione, alle piccole donne brune che avevano percorso le strade della cittadina geco-romana, al tempo del suo splendore. Ho ancora impresso nella mente il tono imperioso e la voce da attore drammatico con cui la declamò nel corso di un convegno di poesia che presiedeva in quegli anni ad Ascea.

Ma di lui ricordo anche le scarne gambe chiare che uscivano dai pantaloncini corti, che non offrivano di lui un aspetto regale, mentre, andandogli incontro per una intervista, lui, quasi sonnacchioso quanto il gatto che gli si strofinava contro, si riscaldava al sole di Ascea, seduto ad un tavolino. Era comunque forte della sua personalità.

-“Si scrive con le visceri e con la testa”. Asserì poco dopo, alla mia domanda su come si dovesse procedere per scrivere una storia autentica.

-“Prima con le visceri: deve essere sofferta. Poi con la testa: si deve visionare fino alla nausea il proprio lavoro…”- Mi permise di registrare il nostro incontro e poi mi invitò a sottoporgli l’intervista per la firma: faceva fede alla propria declamata precisione.

Mi corre incontro nella memoria la mia prima salita verso Porta Rosa: un affanno, sotto il sole cocente, alla ricerca delle ruote del carro di Parmenide, del vento degli alberi che un tempo dovevano avere accompagnato il percorso, dei segni lasciati dai suoi calzari.

“L’essere è il non essere non è”

Parmenide, medico di corpo e d’anima.

Mi risuona nell’aria, senza suono, la voce bonaria ed ironica del grande amico e storico Pietro Ebner, nativo di Ceraso: ”Signora, se proprio vuole scrivere di storia, non faccia come tanti: non copi i libri già scritti. Scopra una storia nuova su documenti originali…”. E così feci.

Il suo studio è stato per me un punto chiaro di riferimento, caldo ed accogliente come il caffè offertomi dalla moglie e come il sorriso di un uomo che non sapeva di essere “importante”.

Il vento del ricordo mi porta sulla superstrada in costruzione. Ho con me mia figlia fiammetta che mi segue, sotto la pioggia, sotto il mio ombrello ed il mio impermeabile.

Anni dopo: sobbalzo su di jeep. Con me c’è anche un figlio che deve ancora nascere e un geometra che mi racconta dei problemi del cantiere su cui lavora: lui verrà licenziato per la “soffiata” e pochi giorni dopo due operai moriranno nel crollo di una galleria in costruzione. Il percorso sarà deviato. La superstrada dello scontento: “a scorrimento veloce”, nata su di un percorso che di onesto ha forse le intenzioni con cui è stata pensata. Lungaggini, incidenti in corso d’opera, deviazioni di percorso, e morti. Troppi morti inutili, dopo la costruzione.

E il mare? Quello splendido mare sulla cui spiaggia correvano i piccoli color sabbia delle rondini di mare? In cui nuotavano a riva piccoli pesci argentati?

Il mare delle foce dell’Alento? Quel fiume nervoso, ricco d’acque e di pesci, in cui ho visto nuotare bambini?

Dov’è l’Alento caro a Cicerone?

Corre il ricordo ai miei lavori di giornalista. Alle battaglie per avere un Parco Nazionale del Cilento, che portasse salute e rigenerazione ad un territorio le cui coste venivano devastate dal cemento selvaggio.

A quei troppo brevi 45 giorni di un turismo invasivo, laddove le condotte dell’acqua e le reti fognarie venivano aggredite da un’ improvvisa cittadinanza centuplicata.

Mi vien fatto di chiedermi, adesso che ne vivo lontana e ritorno a salutarlo soltanto per brevi periodi, cosa sia cambiato in meglio e non in peggio. Se l’Ospedale di Vallo della Lucania, che ha salvato tante vite e per cui tante vite si sono battute sia ancora il simbolo della speranza per quanti vi giungono dall’impervio territorio circostante e se nel tribunale di Vallo della Lucania la legge continuerà a perpetrarsi o sarà chiuso, come la stazione ferroviaria di Casalvelino Scalo, in disuso.

Ricordo l’odore del mare di Casalvelino, a giugno. La quiete.

Tante le idee che percorrevano le menti. Quasi tutte buone. Come le ideologie. E’ l’uso che se ne fa che muta il risultato.

Gente buona del Cilento, attaccata alla propria terra come le radici degli ulivi secolari. Gente destinata da generazioni all’emigrazione e, prima, al brigantaggio. I briganti del Cilento: colpevoli ed innocenti; vittime e carnefici allo stesso tempo.

Oggi questa gente vive meglio: scuole, ospedali, rete viaria, infrastrutture più o meno fruibili e ben inserite sul territorio. Ma è poco. Sempre poco. Il Cilento meriterebbe di più.

Cosa non regala? Mare, monti, colline, fiumi, cascate, antichità storiche di ogni tempo.

Basta percorrerlo con attenzione e fantasia e ti vengono incontro gli antichi greci, i filosofi, gli antichi romani, i monaci basiliani… segni di un passato antichissimo e di spirito vivace si ritrovano sia nell’interno, (basti pensare al S. Maria in Pactano, o anche alla “gemella” di Porta Rosa, ossia “Porta della quercia”, su Moio della Civitella….) che sulla costa, dove a Casalvelino vaga ancora l’ombra dell’evangelista Matteo, mentre Zenone e Leucippo discutono di eternità all’ombra del tempio svanito su cui ora sorgono le rovine della torre di Velia.

Non si può fare a meno di chiedersi se di tutti questi doni abbia fatto buon uso “il politico” a cui la fiducia della gente ha posto, da anni, nelle mani il proprio destino

Ed è meglio non rispondere.

Bianca Fasano

RIPRODUZIONE RISERVATA

dipinto bianca Fasano su Velia

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