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“L’Italia al cospetto di Garibaldi” di Federico Piantieri

📅 sabato 23 dicembre 2017 · 📰 CulturaCilento

23122017 GARIBALDI apertura articolo
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foto autoredi Emilio La Greca Romano | Blog

In pegno di umile rettitudine patriottica, il Piantieri, volle dedicare a Giuseppe Garibaldi il suo componimento per beneficiarlo in quanto creatore della libertà e dell’unità italiana, nazareno dell’immortale e gloriosa Italia.

Nei Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, “Ministero dell’Interno 1861-1869”, curata da Pietro D’Angeloni nel 1964, vengono individuate alcune persone sospette al governo per la loro attivià politica anche nel Comune di Pollica. Le biografie indicate rientrano nell’indagine compresa nell’arco di tempo 1861-1869. Si tratta di CANTARELLA Pietro. Studente. Pollica (Salerno). Anni 25 (1865, apr. 18). Governativo. CANTARELLA Teodorico. Segretario comunale. Pollica (Salerno). Anni 45 . (1865, apr. 18). Governativo. MOTTOLA Michele. Possidente. Pollica (Salerno). Anni 30. (1865, apr. 19). Governativo. PIANTIERI Bernardino. Negoziante. Pollica (Salerno). Anni 30. (1865, mag. 16). Governativo. PIANTIERI Giuseppe. Negoziante. Cannicchio ( Salerno). Anni 53. (1865, mag. 16). (Opposizione costituzionale). RASCIO Gennaro. Negoziante. Cannicchio (Salerno). Anni 48. (1865, mag. 16). Governativo.

garibaldi


Non apparirà strana la qualifica di « governativo» ove si pensi che essa riflette il risultato delle ricerche: cioè una persona sospettata pericolosa poteva rivelarsi invece, in seguito alle notizie assunte, in linea col governo, e come tale veniva classificata. È bene avvertire inoltre che, mentre con la qualifica «reazionario» si indica sempre qualcosa di preciso, un clericale cioè o un sostenitore degli stati preunitari, assai più vaga è la sigla « Rep. ». Con tale definizione vengono indicati repubblicani veri e propri e rivoluzionari in genere, cioè oppositori di sinistra non costituzionali, democratici avanzati o internazionalisti, organizzatori di società operaie, elementi popolari ribelli. L’impresa e i successi garibaldini avevano acceso gli animi. I giovani del Sud rafforzarono l’esercito di Garibaldi. Da qui a poco, il 17 marzo 1861, si giunse al successo, venne conferito il titolo di re d’Italia a Vittorio Emanuele II. Il Nostro, nel 1861, per i tipi della stamperia Del Vaglio in Napoli, pubblico il canto “L’Italia al cospetto di Garibaldi”. Federico Piantieri, in qualità di cittadino cilentano, in pegno di umile rettitudine patriottica, volle dedicare a Giuseppe Garibaldi il suo componimento per beneficiarlo in quanto creatore della libertà e dell’unità italiana, nazareno dell’immortale e gloriosa Italia.

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Il 27 giugno 1860 Federico Piantieri scrisse il suo componimento in onore di Garibaldi e della sua impresa, a distanza di un mese dall’inizio della insurrezione di Palermo, un decisivo avvenimento che permise di conquistare il capoluogo siciliano da parte dei Mille. La fase precedente era stata segnata dalla battaglia di Calatafimi. A breve il Generale marciò verso Messina, mentre l’Italia intera seguiva animosamente le importanti imprese della unificazione della penisola. Da Palermo il 18 luglio 1860 così Giuseppe GaribaldiIl si rivolgeva ai giovani siciliani: “Il continente italiano ci invia numerosi i suoi prodi; io… chiamato dagli oppressori …marcio con quelli verso Messina. Là… io aspetto la valorosa gioventù della Sicilia…Là noi stringeremo una terza volta il patto tirannicida che deve infrangere gli ultimi anelli delle nostre catene, e posare l’ultima pietra dell’edificio nazionale. A Calatafimi, a Palermo !... non chiamai invano i generosi figli di questa terra”. Il Piantieri un anno dopo pubblico questo suo scritto: Fra le tetre parieti di un'orrenda/Prigione oscura rattristate e mute/Stava una Donna! sempre vile, abjetta;/Tra ceppi duri impallidita e smorta,/Sconsolata, affannosa e derelitta/Il suo/destin piangea. Ahi! crudo fato.../Veneranda all'aspetto e maestosa/Ai cittadini e agli stranieri tutti/Troppo imponente Ella incutea rispetto./Tenea le chiome da schiavesca mano/Strappate a forza, sperse e incanutite/Dalla sventura sanguinosa e ria,/Onde tutta sbranavanla i tiranni./Il sembiante un dì bello e specioso/Tenea bruttato, corrugato e tristo,/Tutto sgraffiato, sanguinante tutto/Per le ferite infami, cui tiranniche/Unghie le impresser di veneno infette./Avea la fronte spaziosa ed alta/Contristata e dolente, perchè i despoti/La maltrattàr, la flagellar, la tinsero/Di nere cifre, che terribil voce/Di schiavitute imbarberita e fiera/Suonan tremende. Oh! che rossori che infamia!/Ignuda tutta, vergognosa e mesta/La sola Bella del Creato, il gioco/E scherno, oimè, de barbari ed eunuchi/Truci tiranni esser doveva! oh! rabbia.../Nudo il petto teneva e secolare/l'iaga dogliosa smarginata, orribile/Sopra il petto s'apriva! E chi l'aperse?/ll tirannico brando. E fieramente/Avea le mani dietro il tergo avvinte,/Ed i piedi serrati e stretti in duri/Grossi anelli di ferro. Il tutto infine/E scena e teatro di miseria e pianto/Di sangue e d'ira orribile formava.../Ella, invece di pianto e di cordoglio,/Virtù, costanza e gran valor nudria/Nel petto onnipossente: il viso rossa,/Memorando la prisca dignitate/E il senno antico ed il poter sovrano,/Furibonda da piedi e dalle mani/Scuote i ceppi ferrati; ma la misera/Quanto indarno si spossa e s'affatica.../Come si ridestò, raddormentossi!!!/S'addormento, ma non morì. Quel Dio,/La cui mente infinita alto il destino/ Nazionale governa e regge e guida,/La Virago guardò, e tosto il vedi/Mandar l'Eroe più che uman divino/A darle libertà, salvezza e vita,/Autonomia e tutta Indipendenza,/E l'Unità santificante, simbolo/Del Creatore suo. Guardando il volle;/E ratto il Prode del vessillo ausonio/Sui campi della gloria e della guerra/Volò superbo, generoso, altero,/Caldo di patrio amore ed infocato/Dallo spirto guerriero e decoroso/Di sacro zelo e d'itale virtudi,/Piombò sui campi tutto vivo e ardente,/Foco schizzando di coraggio e ardire/Dalle vive pupille, e altitonante/Sul ferro giura – all'Austriaco morte/Ed all' Italo vita e libertate./Giura, e repente, qual balen che l'etere/Strisciando segna, furioso e ardito/Ei fa tremare San Martin, Palestro/E Varese, Magenta e Solferino./Montevideo, Palermo, e il Mincio e Scilla/Echeggiano alla gloria onnipossente/Dell'italo Campione: e fu sì forte/Il suon dell'eco, che la gran Virago/Dall'eterno letargo obbrobrioso/Si riscuote furente, ed arrabbiata/Spezza i ceppi, li frange e li disperde,/Come fa l'Aquilon che sibilando/Il nero nugolon ratto disgombra./Spezzate le catene della morte,/Liela pei voti soddisfatti, sorge/Qual sacra fiamma eterna, sopra il trono/Forte dell'Alpi e d'Appennin sublime/Maestosa s'inalza, e sopra i monti/Lombardi e siculi il suo sguardo vibra,/E rimira un Eroe italiano/Che ardito sopra celere destriero/Foco sbuffante dalle aperte nari,/Pugna, vince, sconfigge e tutto abbatte./Ella lo sguarda, e risvegliarsi in petto/Sente il valore antico e quella fiamma/Viva di libertade essersi desta./Entusiasmando si riscalda e il volto/Tutto ardente e con lena invigorita/Conosciuto l'Eroe, in tali accenti/Fortemente gli parla: – 0 Garibaldi,/Io son l'Italia che tu ben difendi;/Io son Colei che lo spirto e la vita,/L'aére, il vitto, tutto ti domai:/Io t'offersi il mio sangue e le mie carni/Per farti grande, maestoso, un Dio.../Io ti son madre affettuosa e cara,/Tu a me sei figlio generoso, altero,/Tu mi devi la vita: io a te la gloria/Deggio, la libertade, e culto, e vita./Oh! il Ciel ti benedica, anima santa,/Genio possente, Genio bellicoso.../Tu appieno rispondesti alle speranze,/Ai miei sospiri ed ai sublimi voti;/Tu armonizzasti il palpito del core/Al batter del mio core... e sussultasti ,/Qual caro figlio ai miei sussulti, e tosto/Mi confortasti con ausonii giuri,/Che giuri di grandezza e libertate/Eran sublimi. Allor con ansia l'alba/Io sospirai, in cui l'andata gloria/Riconquistassi e il perso mio decoro!/Deh! salve, o dell'Italia anima e foco,/Gran Genio e Spirto redentor del mondo/Moral, civile, intellettivo, salve./.Tu mi sei figlio, e di quel grati figli,/Non come i vili ed i codardi, i brutti/Animi sconoscenti e patricidi,/Su cui cade l'anatema di Cristo,/Perchè strozzan la patria ed i parenti,/Spargono il proprio sangue e gettan via/L'onor, la gloria e quell'augusto segno/Che libertà s'appella! ed abnegando/Ai proprii dritti, quel che è peggio ancora,/Meschini abnegano alla lor matura!../Salve, o anima diva; alla tua madre/Cara, amorosa Italia, che soffrio/Tanto tanto pe' suoi nobili nati/Sotto la sferza del nemico infame/Snaturato e tiranno, un bel sollievo/0ffristi con quel cor che non ha pari/E con quell'alma valorosa e forte./Tu armasti il braccio, e di repente i vili/Nella polve vedesti riversare,/E le teste brutali nel lor sangue/Gir rotoloni ad espiare il fio/Del parricidio orrendo! cd al tuo fianco/Un altro Grande, ch'è il verace Messo/Del Dio vivente, stette saldo e fermo,/Qual alta torre che non mai discrolla/Degli aquiloni al forte imperversare:/Questi è Vittorio Emmanuele, il Grande/Genio d'Italia, che un Mosè novello/Or compare sull'Alpi tutto foco,/A spezzare le ferrèe ritorte/Della longeva schiavitù tremenda./Sì, Garibaldi, mio valente figlio,/Guerriero invitto, che giammai spauri/Innanzi alle più forti e colossali/Schiere nemiche, colla tua possanza/Maravigliosa e strana, la perduta/Riverenza mi desti! Oh! grazie grazie!/Grazie ti rendo fervorose e calde,/0 Imio Liberator; per te son libera/E godo i sacri dritti che sul core/Iddio segnommi nel crearmi bella,/Forte, dotta, ed autonoma e possente./Grazie; perchè strappasſi dalle mani/Di un vil straniero il mio potente scettro,/E dolce il riponesti nel mio pugno,/Grazie; perchè fremente e disdegnoso/Al turpe mio nemico la corona/Con furore togliesti ed arrabbiato/Gli stracciasti i capegli a giusto oltraggio,/E tosto sul mio capo dolcemente/La riponesti più brillante e bella./Molto a te debbo, molto, o Prode invitto/E generoso troppo, perchè il trono/Su cui sedeva la vigliacca schiatta/De barbari stranieri rimbambiti/Ricuperasti in nobile trionfo,/Prodigioso inver; l'estraneo infido/Tu sbalzasti dal soglio e con affetto/Me lo desti dicendo: – o Madre, siedi. –/Sì, grazie, infin, che quella Libertate/Da tanto tempo sospirata e chiesta,/Ma chiesta invano, alfin mi siede a destra,/Impugnando il mio scettro onnipossente/E meco dando colle leggi i dritti/Ai cittadini valorosi e fidi,/Ai cittadini della patria amanti./Son libera per Dio! e come libera/Col volere del Ciel, di Garibaldi,/Spero ben anco d'unizzarmi, e allora/0h! quanto il senno mio ed il potere/Il mio valor saranno primi al mondo,/Ottenendo davvero il gran primato/Moral, civile, intellettivo in tutte/Le circostanti nazioni. Ah! Cielo..../Son libera, son libera, son libera,/Mi proteggono Iddio e Garibaldi,/Mi proteggono i grandi Emmanuelli. »/Sì disse la virago nel più caldo/Entusiasmo del suo spirto ardente,/E la voce lontan lontan si sparse/Dall'Etna alle lagune di San Marco,/Ed echeggiàr l'Emilia e la Toscana,/Tutto il Piemonte e l'insular terreno.

(A cura di Emilio LA GRECA ROMANO)

la famiglia garibaldi


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