Sedotta ed abbandonata, è sempre meno interessata al suo futuro umano, culturale, sociale e territoriale.
Il Cilento è, purtroppo, una terra dal futuro negato.
Vive in una condizione di profondo malessere antropico; il sociale ed il culturale sono assolutamente indifferenti alla gente che, sempre più senza identità e spirito di appartenenza, avvitata su se stessa, è rassegnata al proprio destino; giorno dopo giorno, tira a campare e non si meraviglia più di niente.
Le comunità sono sempre più silenziose; ognuno pensa (e pensa male) solo a se stesso.
C’è un diffuso e forte egoismo; c’è nell’aria uno spirito familistico che non produce alcuna forma di socialità, di vita d’insieme, ma solo un assordante silenzio ed un pensare rabbioso e maldicente finalizzato al proprio vuoto apparire, alle proprie quotidiane esigenze di riempirsi di schifezze alimentari il proprio stomaco, assolutamente indifferenti all’essere, ai valori, all’etica dello stare insieme, pensando insieme al futuro.
Tutto questo succede oggi nel Cilento sedotto ed abbandonato dove anche la splendida solitudine è frastornata dal vivere sempre meno umano, sempre meno godibile e soprattutto sempre meno proiettato verso il futuro.
Il Cilento soffre; la sua condizione umana immalinconita è indifferente a tutto. C’è nell’aria un profondo vuoto; un’assoluta indifferenza per i cambiamenti possibili e per un progetto di futuro con protagonisti i traditi di sempre, ormai estranei ai loro paesi dell’anima, alle loro pietre parlanti, mute testimonianze di tempi lontani, sempre più indifferenti ai più.
Il primo nemico del Cilento è stata l’emigrazione; la fuga dei cervelli di tanti che sono partiti sperando di tornare un giorno al proprio luogo natio.
Ma il tempo ha inesorabilmente continuato ad assommare danni a danni, sfilacciando sempre più il tessuto umano che va verso una disgregazione senza ritorno.
Il Cilento non ha la necessaria forza di agire e di reagire; subisce in silenzio vedendosi tolti, giorno dopo giorno, i servizi necessari al vivere civile (le scuole, gli uffici postali, i trasporti e soprattutto le strutture sanitarie, senza le quali non si può vivere, ma solo morire).
Il Cilento privato dei servizi, nella sua rovinosa solitudine, non rappresenta una realtà dell’anima in cui è ancora bello vivere.
Il Cilento abbandonato a se stesso in questi caldi giorni di agosto brucia nell’indifferenza di una forte rappresentanza istituzionale che non riesce più a garantire niente e nessuno.
La popolazione fortemente invecchiata, con le culle sempre più vuote, non si occupa o preoccupa del proprio futuro; vive il suo presente indifferente ai problemi del nostro tempo, alla globalizzazione sociale in atto ed alla condizione diffusa di umanità in cammino che cerca una ragione per vivere attraversando le vie del mondo sempre più lastricate di diversità.
Nel Cilento, soprattutto interno, anche le sue strade abbandonate a se stesse, non sono facilmente percorribili ed amiche delle diversità umane alla ricerca di un mondo nuovo ovunque è possibile trovarlo, anche nei diversi e lontani angoli del Pianeta Terra.
Sono un cilentano vero; sono un cilentano fortemente innamorato del mio Cilento, di una Terra un tempo ombelico del mondo, per essere stata la Terra dell’essere, così come nel pensiero parmenideo, oggi assolutamente indifferente ai cilentani ed a tanta parte di quel mondo degli stomaci che ha abbandonato saperi e valori per dedicarsi solo ai piaceri del non essere ed alla materialità di un apparire che la fa da padrone su tutto.
Questo Cilento sedotto ed abbandonato, già difficile da vivere prima del montismo, oggi è una Terra assolutamente impossibile da vivere.
Il maggiore disagio viene proprio dalla gente che accetta in silenzio tutto e non pensa che alla propria egoistica sopravvivenza; si tratta, purtroppo, di gente senz’anima che ha smesso anche di sognare quella splendida solitudine di una ruralità ormai assorbita dal fragore di falsi miti, qui morti nel grigiore di un consumismo fine a se stesso.
È gente senza voce e senza coraggio che ha rinnegato la propria appartenenza legata al mondo della Terra ed al proprio lavoro nel mondo dei mestieri e delle vecchie professioni artigiane.
È gente oggi assolutamente indolente che rifiuta di sporcarsi le mani nella convinzione che è possibile vivere senza fare scelte coraggiose e tantomeno “organizzare la speranza” come scrive nell’introduzione al recente libro “A voce d’e creature” don Luigi Merola, attivo protagonista di legalità nel difficile mondo della camorra napoletana.
Nel Cilento non c’è la camorra napoletana; c’è piuttosto, in modo profondamente diffusa l’arroganza di un potere assorbente e padrone sugli altri che devono starsene silenziosamente buoni ed obbedire a testa bassa a chi comanda.
Questo è oggi il Cilento nostro; questo è oggi il mio Cilento.
Una Terra senz’anima contaminata, tra l’altro, da gratuite maldicenze e da inopportune presenze mediatiche per seminare veleni ed offese anonime, non avendo la dignità umana di assumersi la responsabilità di quel che si dice.
Questo Cilento, umanamente disperato, con tanti inutili sprechi e senza interesse alcuno per la cultura, motore di vita, oggi non ha in sé il protagonismo della ragione, del pensare positivo e dell’ organizzarsi insieme il futuro a più mani, progettandolo con la forza del sapere antico che, per secoli ha animato l’uomo, spingendolo a guardare avanti ed a non vivere di solo presente, ma soprattutto di solo stomaco da riempire.
Lo scenario sagraiolo di questi arroventati giorni di agosto rappresenta una condizione triste ed oggetto di grande criticità per come è oggi ridotto il Cilento che affida il suo protagonismo alla paesanità esteriore della sagra senza senso e senza alcun utile risultato.
A che serve? Che cosa si intende promuovere con le sagre paesane? Forse mira, ma senza riuscirci a far crescere i territori e darsi, attraverso i suoi sapori di un tempo, un’anima antica, utile al presente da conservare, da vivere e da utilizzare come risorsa per il futuro?
Tutto questo non è, purtroppo, il lievito di un futuro possibile; tutto questo, altro non è che “inutilità” umana di un presente sempre più, fine a se stesso.
Tutto questo succede nel Cilento con il compiacimento delle istituzioni che danno la loro paternità alle tante diffuse abbuffate cilentane.
Ma a che serve tutto questo? In tutto questo quale il ruolo dei comuni cilentani? Quale il ruolo del Parco? Le comunità locali sempre meno forti umanamente e socialmente, del tutto indifferenti alla cultura ed agli eventi culturali, abbandonate a se stesse, propongono per apparire almeno un giorno, il loro protagonismo sagraiolo.
Iniziative significative dal punto di vista artistico-culturale, sono poche e sempre più spesso vedono il protagonismo di colonizzatori esterni che costruiscono il pacchetto di programmi per proprio conto e senza alcun legame con i territori interessati, del tutto indifferenti a quel che questi eventi padronali producono ed ai risultati raggiunti nell’interesse culturale e della crescita dei territori ospitanti.
Su queste iniziative c’è il massimo dell’attenzione soprattutto del Parco che non brilla di altra luce se non del protagonismo presidenzialista di chi lo rappresenta e di chi ne governa le funzioni sui territori, ancora una volta sedotti ed abbandonati da un Ente che in 20 anni non ha mai brillato di luce propria, né ha dato quei segnali di cambiamenti possibili e sostenibili, così come nelle attese dei luoghi e della gente che si augurava di entrare in sinergia e creare nuove opportunità di vita in un’Area Protetta che si attendeva di fare delle sue testimonianze storiche e delle sue tante bellezze naturali, oggi patrimonio dell’umanità UNESCO, concrete opportunità di crescita, superando le tante difficoltà economiche di sempre ed il retaggio di un forte e consolidato ritardo culturale.
Tutto questo non c’è stato; tutto questo è, purtroppo, mancato.
Il Parco è ancora e sempre più, un Parco “Cenerentola” che non produce l’atteso insieme di cambiamento e di sviluppo, ma solo parate autocelebrative, con i territori che stanno a guardare e si impoveriscono sia umanamente che economicamente per effetto, tra l’altro, dei servizi che chiudono (a tal proposito che ne pensa il Parco ed il suo Presidente? Quali provvedimenti sono stati adottati?). Che si sta pensando di fare per conservare il territorio assolutamente privo dei suoi guardiani naturali? Intanto sistematicamente ad ogni estate brucia; per frane d’inverno scivola a valle; si degrada ed è abbandonato sempre più a se stesso subendo la furia devastatrice dei cinghiali e/o di chi sistematicamente lo avvelena con l’uso abusato e sconsiderato di diserbanti e di veleni per la lotta agli insetti fastidiosi e nocivi quali le mosche, le zanzare, le mosche olearie, possibili da combattere con metodologie ed interventi nuovi ed alternativi.
Voglio concludere augurandomi di abitare al più presto in un Cilento diverso; in un Cilento nuovo, capace di conservare la sua splendida solitudine ed il fascino di una condizione antica del bello vivere di un tempo in cui i tanti piccoli paesi dell’anima erano umanamente vivi e socialmente attivi ed attenti al proprio futuro che era quello legato alla Terra.
Oggi questo fascino antico non c’è più; non c’è più l’insieme solidale e la volontà di raccontare per raccontarsi, tramandando di generazione in generazione un patrimonio di cultura orale che sta morendo e se ne vanno cancellando le tracce.
Rifiuto con ostinata fermezza, la convinzione di chi, senza conoscere antropologicamente il Cilento, spara gravi sentenze su di una semplice epidermica e frettolosa sensazione da approccio frettoloso, secondo cui i cilentani non vogliono migliorare, perché come nel Sud in generale, si è convinti di essere perfetti.
Non è così! Questa non è la condizione che tocca da vicino l’umanità cilentana.
Altri sono i limiti del Cilento; il primo di tutti i mali è purtroppo quello della sudditanza al potere di un “sovrano” che si rinnova con le caratteristiche identitarie di sempre; siamo, purtroppo, di fronte ad un potere che non fa vivere liberi; che produce e riproduce la sola cultura della sudditanza e delle clientele e si esprime in modo necessariamente autoreferenziale per far valer il proprio ruolo padronale su tutto il Cilento e su tutti i cilentani che da “sudditi sottomessi”, si deprimono sempre più e non sanno pensare liberamente ad un Cilento nuovo, ad un Cilento non solo Terra dei miti, ma di uomini liberi, liberi soprattutto dal bisogno e senza il potere arrogante e stravolgente dei padri-padroni di sempre, a cui un tempo andava il saluto del dominus “vossia” illustrissimo ed oggi l’altrettanto servile rispetto plebeo per chi comanda, impresso anche nell’aria che si respira e che ovunque opprime con la voce assordante del “è qui comando io”, un comando fortemente infarcito di nanismo mentale e culturale.
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