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“Li troveremo anche al bar che si prendono il caffè?” .

📅 lunedì 12 novembre 2012 · 📰 AmbienteCilento

12112012 famiglia di cinghiali nel parco
Credits Foto OpEd

foto autoredi Paolo Abbate | Blog

“Li troveremo anche al bar che si prendono il caffè?” .

La popolazione complessiva dei cinghiali è nell’ordine di molte migliaia di capi. Concentrati soprattutto nelle aree «calde» , tra cui Punta Licosa, Pisciotta, gli Alburni e Laurino. I danni risultano ingenti, tanto che il Parco, spiega il presidente Troiano, “ ha dovuto risarcire 350 mila euro per danni alle coltivazioni e addirittura ai muretti, tipici del Cilento, distrutti dai cinghiali. Abbiamo anche assegnato contributi per circa 160 mila euro per l’installazione di reti elettrificate, assegnate a proprietari di campi agricoli sulla base di un bando di gara”.

Ecco perchè un sindaco del Parco nazionale, disperato per i danni arrecati alle colture dai cinghiali, esprime la sua preoccupazione al presidente del Parco affermando: “Li troveremo anche al bar che si prendono il caffè?”.


Dunque, I coltivatori si lamentano - e i sindaci raccolgono queste lamentele-, i cacciatori vogliono sparargli, gli ambientalisti li proteggono giustamente, considerato che esiste un Parco naturale con le sue regole, i bracconieri ne fanno un discreto bottino, alla faccia di tutti.

L’attività venatoria nelle aree protette è disciplinata dall’uso combinato delle leggi 157/92 (legge quadro sulla caccia) e 394/91 (legge quadro sulle aree protette).

La legge 157/1992, all’articolo 21, comma 1, lett. b, ribadisce il divieto di esercizio venatorio “nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali, conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali“ e all’art. 30, comma 1, lett. d), prevede sanzioni penali per chi caccia nei parchi (arresto fino a sei mesi e ammenda da lire 900.000 a lire 3.000.000, mentre la legge 394/1991, agli articoli 11, comma 3, lett. a) e 22, comma 6, sancisce il divieto di caccia nei parchi, rispettivamente nazionali e regionali e l’art. 30 della stessa stabilisce le sanzioni per chi contravviene al divieto (arresto fino a sei mesi e ammenda da duecentomila lire a venticinque milioni, pene che vengono raddoppiate in caso di recidiva). Nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali sono consentiti solo “prelievi faunistici e abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici” (Art. 22, comma 6, L. 394/1991).

famiglia di lupi nel parco


Dunque entrambe le leggi stabiliscono il divieto assoluto di caccia nelle aree protette proprio perché è necessario porre al primo posto la protezione dell’ambiente in tutte le sue forme imponendo a carico della P.A. un obbligo di conservarla e proteggerla, poiché “la fauna selvatica fa parte del patrimonio indisponibile dello stato”.

Ma gli interessi, le convinzioni e i bisogni dei cittadini sono vari e spesso divergenti, ecco perché sono previste deroghe alla legge, elencando però i casi e le condizioni in cui si può ricorrere alla deroga, ovvero solo nei casi di estrema gravità quali la tutela della salute e della sicurezza pubblica, la sicurezza aerea, la prevenzione di gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca ed alle acque, la protezione della flora e della fauna.

A questi casi tassativi si deve aggiungere però l'altra condizione essenziale perché la deroga sia conforme alla Direttiva europea, ovvero che "non vi siano altre soluzioni soddisfacenti" per ovviare ai problemi sopra elencati. L’Europa infatti ci impone norme precise per la caccia e prevede sanzioni pesanti per le trasgressioni.

Ecco dunque che si tenta di avanzare proposte convincenti da parte di singoli e associazioni (escludiamo quella dei bracconieri), per dare una risposta al problema della proliferazione dei cinghiali e dei danni arrecati all’uomo.

L'ex sindaco di Castellabate, Costabile Maurano, lanciò tempo fa un progetto pilota per trasformare il danno in opportunità. «Finora — spiega Maurano— sono stati abbattuti almeno cento cinghiali e il mio Comune è l’unico dell’area a disporre di un macello. L’idea è di utilizzare la carne in modo socialmente utile ed economicamente produttivo. E cioè, dopo le necessarie analisi da parte dell’Asl, ne vorrei distribuire una buona parte alle famiglie più disagiate, quelle con molti figli e poche entrate, per esempio. L’elenco sarà predisposto dall’assistenza sociale di zona.”

Il professore Fulgione dell’Università di Napoli dichiara (11 nov. 2012, forse in risposta alla Coldiretti) : “È possibile quantificare i cinghiali in eccesso e quindi valutare le potenzialità economiche che potrebbero costituire. Noi non facciamo calcoli come dato assoluto, valutiamo la densità di popolazione per chilometro quadrato. L’ideale, per non danneggiare l’ecosistema, sarebbe di uno o due cinghiali per chilometro quadrato, ma in parecchi casi si arriva a 10-20 volte di più. Considerando che tali animali si nutrono, per esempio, di orchidee rare e di uova di uccelli, e calcolando che il Parco del Cilento è esteso 171 mila ettari, è facile immaginare il danno che possono produrre» . Il nostro obiettivo, aggiunge il professore Fulgione, “non è l’estinzione ma la riduzione dei cinghiali. Del resto la loro moltiplicazione, come spesso avviene, è colpa degli uomini: in passato sono stati addirittura importati cinghiali dall’Est Europa per consentire la caccia nelle aree limitrofe. Poi questi sono entrati nel Parco, dove la caccia è interdetta e, con gli animali locali, hanno dato vita a ibridi”.

Contemporaneamente però, dichiara il Wwf, sono stati letteralmente perseguitati i lupi, i principali controllori quale efficace predatore del cinghiale. Diversi studi scientifici realizzati in Italia dimostrano che questo ungulato può rappresentare infatti fino al 60% delle prede catturate dal Lupo, seguito dal Capriolo.

La ricostituzione dunque di una rete trofica complessa è uno degli obiettivi da perseguire quando si cerca di attuare politiche di conservazione della natura. Rimane il problema del pascolo domestico, ma la buona disponibilità di prede selvatiche e l’utilizzo di una politica puntuale di gestione del bestiame al pascolo che preveda l’utilizzo di sistemi di protezione per prevenire gli attacchi non possono che diminuire la predazione sul bestiame domestico.

Questo è quanto il WWF Italia dichiara da tempo e crediamo che sia la soluzione più logica per salvare le attività umane e tutelare la biodiversità come prevedono le normative nazionali ed europee.

Guarda il video del wwf


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