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SUD DA CAMBIARE, PER NON MORIRE

LA FABBRICA DELLE IDEE. TERRITORI COME LABORATORI CREATIVI

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lunedì 7 luglio 2014
foto autoredi | Blog
CilentoNotizie su GNews

Il problema lavoro è un problema drammaticamente presente in tutto il nostro Paese e soprattutto al Sud ed in modo ancora più grave nelle realtà periferiche di quel Sud sempre più sedotto ed abbandonato che, purtroppo, oggi rischia di essere cancellato e di perdere definitivamente la sua sfida con il futuro.

Tanto, per la mancanza di quel lavoro da sempre sognato ma che, non c’è mai stato, costringendo così, ieri come oggi, ad abbandonare i luoghi di un’appartenenza che, da troppo lungo tempo, non hanno saputo garantire un futuro possibile, ai tanti costretti a fuggire per non morire.

Ieri erano le braccia ad andare via attraverso un cammino silenzioso, con tanta rabbia dentro, per il tradimento subito da parte della terra dei padri, purtroppo, ancora ostinatamente feudale, ancora ostinatamente familistica ed ancora assolutamente chiusa al fare per gli altri, inventandosi quei percorsi virtuosi che erano, sono e saranno possibili, sempre che le menti umane del Sud avranno un giorno interesse e soprattutto la volontà di attuarli, rimuovendo quegli ostacoli che non hanno permesso al nostro bel territorio di svilupparsi; che non hanno permesso al Sud di crescere, di cambiare, ma di autoperpetuare sempre le sue gravi condizioni di arretratezza antica, con conseguenti consolidate situazioni di mancato sviluppo e di tante sofferenze disumanamente distribuite a piene mani a chi, benedetto alla partenza, da una Chiesa alleata dei forti, è dovuto fuggire dalla propria Terra, per non morire.

Purtroppo le gravi condizioni del Sud, della Campania e del Cilento in particolare, sempre identiche a se stesse vengono trasmesse in eredità da una generazione all’altra; un testimone che cambia mano, senza che intorno cambi assolutamente niente.

Qui in tempi di prosperità economica in tanti hanno goduto di un diffuso benessere dovuto alla sola sussidiarietà meridionale, funzionale a garantire il potere italiano, il frutto di un fare politico con i suoi punti di forza soprattutto in quella classe dirigente meridionale erede dei tanti baroni meridionali, poi sulla scena nel ruolo di affannati ed affamati mediatori politici; tanto, come il frutto di un accordo tacito con il Nord, finalizzato al governo del Paese, con effetti concreti in lunghi decenni di un falso insieme italiano che, come diceva un tempo ormai lontano, Giustino Fortunato, hanno rappresentato per il Sud la sola politica del niente, per un fare del niente, ai fini del cambiamento e dello sviluppo possibile, un obiettivo questo, purtroppo, da sempre indifferente sia al Nord capace di produrre sviluppo che al Sud, assetato di sola sussidiarietà e di assistenzialismo diffuso che non ha permesso di accedere a quel tanto atteso sviluppo, così come desiderato dai più.

Oggi è necessario cambiare; oggi occorre pensare al nuovo Sud. Tanto, per una nuova Italia; tanto, per non morire e far morire l’Italia del Sud.

Cambiare si può! Cambiare si deve!

Secondo le buone regole di uno sviluppo territoriale possibile, bisogna fare una concreta operazione di coinvolgimento italiano allargato, recuperando, per questo obiettivo, le idee, le tante nuove idee di insieme, finalizzate ad una progettualità italiana condivisa.

Oltre a questo, c’è urgente bisogno che il territorio, tutto il territorio italiano, riesca ad esprimere al meglio il suo insieme professionale e le sue capacità creative al servizio del bene comune e non per i soli egoismi di parte.

Tanto, nel contesto di un laboratorio di idee per lo sviluppo, capace di sfide intelligenti a partire dal pensiero, prima considerate assolutamente impossibili.

Un percorso del pensiero, finalizzato al fare mettendo a confronto tutte le risorse disponibili, a partire, prima di tutto, da quelle umane, con le idee progettuali e creative finalizzate a realizzare cambiando, i nuovi destini dei territori che, purtroppo, hanno sulle spalle, un passato di indifferenza e di un uso assolutamente non laboratoriale, in quanto poco interessato alla progettualità, ma ad un solo concreto fare individuale che non si è mai posto concretamente il problema di un utilizzo organizzato dei territori, per cambiare a fondo i destini della gente.

Un progetto di quel cambiamento possibile si può fare, avendo a disposizione le risorse necessarie che, se ben utilizzate, possono finalmente far partire lo sviluppo negato anche al Sud, dove si è agito con un fare da rapina, assolutamente estraneo al percorso virtuoso della crescita cambiando, avente come obiettivo dichiarato lo sviluppo territoriale e quindi lo sviluppo umano.

Oh adesso, oh mai più! Rimboccandosi le maniche, mettendo a regime il pensiero e l’azione, motore dei tanti cervelli disponibili, con un percorso di insieme, i territori del Sud, devono essere attivamente chiamati a costruire da protagonista quel nuovo che potrà finalmente indicare la strada dello sviluppo possibile anche ai giovani meridionali non più confusamente indifferenti se non del tutto estranei a tutto e negativamente svuotati di ogni possibile prospettiva di vita con alla base, prima di tutto i diritti fondamentali dell’uomo, da cui partire anche nel Cilento per cambiarlo, per progettarne quel futuro possibile, nel pieno rispetto delle risorse di cui dispone, considerando la centralità delle risorse umane, senza mai stravolgerne il corso e alterarne gli equilibri natura-uomo, oggi fortemente alterati e sempre più squilibrati, con effetti umanamente devastanti per il presente e soprattutto nelle prospettive del futuro possibile, ma di fatto negato.

Un progetto Cilento, per cambiare finalmente, anche realtà come quelle cilentane, rassegnate al non cambiamento; tanto, non per volontà divina, ma per sola volontà umana e soprattutto per quegli egoismi di comodo, funzionali al solo proprio essere uomini sulla Terra.

Nel gridare ai quattro venti che la visione apocalittica dell’eterno terreno, è una visione sbagliata, in quanto il solo frutto di una invenzione umana assolutamente da sfatare e da vincere anche nel Cilento e per il Cilento, c’è l’urgenza di rientrare nella normalità credendo, prima di tutto, nella speranza di un futuro umanamente possibile.

Per rimuovere gli ostacolo, tutti gli ostacoli del futuro negato, è necessario credere nelle cose; è necessario pensare il cambiamento e quindi lo sviluppo, come concretamente possibile e poi, rimboccandosi le maniche, mettersi all’opera per trasformare il pensiero in azione; per trasformare l’idea progettuale, nella sua concreta realizzazione.

Il modello che dal pensare al fare è alla base dei destini umani e dei territori, è purtroppo da sempre estraneo oltre che indifferente, all’intero Cilento; una realtà quella del Cilento, poco dinamica con caratteristiche di staticità diffuse che ci ritroviamo e troviamo tutte in quel maledetto immobilismo di cui soffre il territorio cilentano, nonostante il suo passato; nonostante l’essere stato la Terra dei saggi parmenidei, con un pensiero dell’essere nato proprio qui da noi, da Parmenide e coltivato con amore, da quella Scuola Eleatica che ha prodotto i suoi abbondanti frutti, oggi patrimonio immateriale dell’umanità, purtroppo, inopportunamente indifferente ad un territorio che continua a farsi violentare da un immobilismo che uccide tutto e tutti, senza opporsi con forza, liberandosi così da un male oscuro che più oltre determinerebbe l’inevitabile morte del già moribondo Cilento.

Questa parte della Campania non può, né deve assolutamente morire; può salvarsi sempre che qualcosa finalmente cambi ed in profondità, in quell’umano che sa solo creare al territorio i problemi senza poi sapere come liberarsene.

Il Cilento più e più gravemente di tante altre parti del Sud soffre di uomo; una sofferenza antropica grave che è alla base del malseme che genera e rigenera il suo sottosviluppo.

Il Cilento è, come da più parti si dice, immobile, perché, come recentemente denunciato dall’ex Ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca, non dispone di risorse umane; perché l’imprenditorialità è assente e perché niente si rinnova, essendo assolutamente immobile.

Questo Cilento è una terra maledetta, dal futuro negato.

Se il Cilento è una terra senza futuro, di chi la colpa? Siamo di fronte a colpe antropiche che vengono dall’interno del proprio essere uomini che, facendosi male, si negano al futuro, non garantendo, tra l’altro, quel ricambio umano, senza il quale le condizioni del Cilento sono sempre più disperatamente desolate.

Che fare? Come invertire la rotta, trasformando l’attuale sottosviluppo in sviluppo possibile?

Uscire dal tunnel; credere nel futuro possibile e con protagonismo adoperarsi per vincere la sfida, liberandosi finalmente e per sempre da quel buio profondo di cui soffre il Cilento, un territorio dal futuro negato, perché così ha deciso la sua gente rassegnata e convinta che non c’è niente da fare.

Perché non rivolgere lo sguardo al passato? Perché non considerare e riconsiderare le realtà produttive del Cilento antico che, così com’erano, riuscivano a garantire i bisogni dei territori, con tecniche ed esperienze che all’epoca potevano essere considerate un concreto volano di sviluppo economico?

Tali erano le fornaci; tali i mulini a vento e ad acqua; tale le tecniche veline di costruzione; tali i vecchi frantoi e tutte quelle lontane testimonianze di realtà produttive che, per il valore che hanno, vanno ben al di là della semplice testimonianza.

Il significato di questi percorsi di realtà produttive e luoghi simbolo, va ben oltre i trascorsi storico-produttivi.

Oltre al valore storico suo proprio, sono concrete testimonianze di un’utile archeologia industriale; sono percorsi di vita che, al di là di come li conosciamo, hanno un loro forte fascino oggi ed ancora più domani, per gli effetti virtuali di cui vanno opportunamente arricchendosi.

Quale il futuro possibile per i luoghi - testimonianza del lavoro di una volta?

Superandone l’uso museale, mista alla testimonianza del tempo che fu, a mio avviso, è opportuno farli rivivere come laboratori creativi e del pensiero; come fabbrica delle idee di cui ha tanto bisogno il Cilento per uscire dal suo profondo e mortale immobilismo.

Il passato come luoghi di testimonianze del lavoro è utile al presente per pensare ad un futuro nuovo, partendo dalle idee; partendo dalla fabbrica delle idee che possono servire al cambiamento ed allo sviluppo del nostro sedotto ed abbandonato Cilento.

BLOG di Giuseppe Lembo - La pagina corrente è autogestita

 
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