NEL MONDO CRESCE IL SOLO LAVORO DELLE OCCUPAZIONI PRECARIE. INNOVARE PER SALVARSI
Per salvarci in casa nostra.
di Giuseppe Lembo | BlogEsiste ancora il “posto di lavoro”, così come inteso nel mondo decadente della civiltà industriale? Purtroppo, quei tempi, sono ormai tempi sempre più lontani.
Il lavoro di oggi, quando c’è, è altra cosa. È sempre meno, “posto di lavoro”, con una dipendenza ed un datore di lavoro.
Si va così, sempre più verso quanto già pensato dal modello del capitalismo che, prevedendone le conseguenze, andava teorizzando il principio fortemente di attualità nel nostro tempo, secondo cui le risorse del mondo dell’occupazione, fossero risorse in assoluta costante decrescita.
Tanto, soprattutto , nell’uso tradizionale diretto alla creazione di posti di lavoro.
Siamo ormai verso mondi nuovi; verso situazioni completamente nuove; il lavoro sarà sempre meno, “posto di lavoro”; sarà, sempre meno, posto fisso.
Che fare? Come uscirne fuori? Quali percorsi possibili, per cambiare le regole alla base dell’ormai consolidata grammatica del lavoro, un riferimento che ha dominato di sé il Novecento, il secolo di fine millennio, fortemente caratterizzato dal “posto fisso”?
Purtroppo c’è in atto, un vero e proprio cambio di rotta; il lavoro, sarà sempre meno considerato nella logica di sempre del “posto fisso”.
In alternativa al “posto fisso”, con tutte le sue garanzie, così come fino ad ora intese, dobbiamo imparare a convivere con il lavoro precario; con il lavoro inventato, frutto del proprio ingegno, della propria creatività, per effetto del quale, ciascuno dovrà saper essere intelligentemente imprenditore di se stesso.
Tanto, sia per l’obiettivo minimo di sobbarcare il lunario, sia per diventare un vero e proprio imprenditore; un imprenditore di successo; un imprenditore dalla fortuna inventata, grazie alla propria intelligente capacità personale di ripensare il mondo del lavoro, ritagliandosi per sé in questo, comune e diffuso ripensamento, non un lavoro da “posto fisso”, perché ormai c’è sempre meno, ma un attivo generatore di lavoro, fidando sulle proprie capacità ideative, creative e soprattutto innovative, sapendo, tra l’altro, capire dove va il mondo e su quali domande antropiche si basa il futuro del mondo.
Tutto questo che significa mai per il futuro delle nuove generazioni? Sicuramente, stando così le cose, più precarietà.
Ad una crescente economia precaria corrisponde un’altrettanta condizione di diffusa precarietà sia umana che sociale.
Siamo ormai e sempre più, di fronte a grandissime trasformazioni planetarie del consolidato sistema economico e sociale che ha caratterizzato il Novecento in Italia e nel mondo.
Forse che indietro non si torna? È tutto da vedere.
Comunque, una cosa è certa; il terzo millennio, a partire dal ventunesimo secolo in corso, è altra cosa rispetto al passato.
La società, facendo di necessità virtù, dovrà imparare ad essere sempre più innovativa; sempre più creativa.
L’innovazione e la creazione sarà, in modo crescente, alla base dei tantissimi impresari di se stessi; le nuove generazioni ormai orfane del “posto fisso”, ormai senza più un’occupazione stabile, dovranno sapersi inventare le nuove condizioni per gestirsi in proprio, la propria non facile esistenza; tanto, al fine di vivere o semplicemente sopravvivere e per pochi, saper diventare imprenditori di successo di se stressi; di imprenditori coraggiosi dalle dimensioni minime o grandi, capaci di creare per sé anche enormi ricchezze; facendo così la differenza con i tanti che non vogliono, perché non sanno né ideare, né creare e tanto meno innovare.
È questa la moltitudine umana e sociale di sempre che senza entusiasmo e senza attese particolari di futuro, si trovava funzionalmente comoda nel proprio ruolo di dipendenza a vita, in quel “posto fisso” che ha permesso a tanti di vivere o di sopravvivere con le pantofole e con un piatto a tavola, mentre la televisione andava trasmettendo messaggi da sogni proibiti, perché assolutamente negati alle masse del “posto fisso”.
Che succederà da noi, nel mondo occidentale e nel mondo più in generale, di fronte alle prospettive sempre più concretamente vicine della fine imminente del “posto fisso”?
Chi saprà mai essere protagonista intelligente, in un mondo nuovo che chiede a ciascuno di fare la sua parte e di dare il proprio contributo di idee, poi tradotte in azioni concrete, dove le idee di ciascuno, diventano parte viva di un mondo reale, che lancia la sua sfida, chiamando tutti a fare la propria parte? Chi saprà o vorrà mettere in gioco e dare il proprio attivo contributo per far funzionare le cose del mondo, senza attendere il miracolo di un benessere e di un progresso affidato agli altri; ai soli altri, quei pochi del mondo, il motore del mondo che un giorno può anche ritrovarsi con gli ingranaggi arrugginiti e quindi inevitabilmente fermarsi, come sta accadendo oggi, in questo inizio del Terzo Millennio.
Tutto, è mutevole soprattutto nel mondo dinamicamente in movimento, del nostro tempo, con caratteristiche di una diversità che non ha confronti; tutto è oggi parte di quella mutazione genetica che è in sé, la grande espressione dei cambiamenti umani che avvengono sulla Terra, senza che nessuno possa interromperne capricciosamente e/o egoisticamente il corso orientandolo, a proprio piacimento, nella sola direzione voluta.
Con queste cangianti prospettive, quale il futuro possibile per le nuove generazioni? Per favorire il loro futuro è urgentemente necessario dare gli strumenti necessari di tipo educativo, formativo e quindi di quelle diffuse capacità innovative, per un accompagnamento professionale personalizzato per tutte le attività di un lavoro innovativo, utili a creare posti di lavoro, soprattutto al di fuori delle logiche di quel “posto fisso”, sempre più difficile da raggiungere.
Per fare questo, occorre un Progetto giovani dove ciascuno possa sentirsi garantito, ritagliandosi gli spazi funzionalmente possibili in progetti concreti, basati sulle singole capacità di inventarsi il futuro, innovandone i percorsi; tanto, lavorando il più possibile insieme, gomito a gomito, con un crescente reciproco arricchimento di esperienze e di opportunità concrete, attraverso le quali, è necessario pensare a far funzionare il sistema, sempre più orfano di quelle centrali del lavoro basate sul “posto fisso”, fonte spesso anche di gravi rischi, anche sul piano delle garanzie del lavoro, orientate soprattutto a fare cassa in un’economia di mercato, in cui il capitale-lavoro, deve necessariamente tradursi in surplus di capitale economico-finanziario, sempre più spesso a totale danno del capitale umano, marginalizzato al massimo e senza alcun diritto garantito per quel suo valore in sé, assolutamente centrale ed insostituibile.
Considerate le difficoltà del momento, forse, forse, si può pensare all’innovazione, come unica miracolosa via per salvarsi; per salvare il mondo e salvarci anche in casa nostra, dove e sempre più, è ormai finito il tempo del “posto fisso” e dell’affidarsi passivamente agli altri per vivere su questa Terra che, come ci ha insegnato la civiltà contadina, ha sempre amato il protagonismo del fare per vivere da protagonista insieme agli altri.
Questo modello era ormai scomparso, in quanto cancellato da una civiltà industriale da “posto fisso”, con alla base la crescente disumanizzazione del lavoro diabolicamente pensato con il fine ultimo dello sfruttamento dell’uomo al fine di creare ricchezza e di fare crescere, accrescendole, le disuguaglianze umane, con i nuovi poveri del mondo (un miliardi circa), destinati a morire di fame, non avendo neppure il diritto al cibo; al pane della vita, per garantire la vita.
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