CILENTO SEDOTTO ED ABBANDONATO IL PERCORSO DI UN “NUOVO” UMANO, PER RIDARE LA GIUSTA IDENTITA’ ALLA TERRA DI PARMENIDE
di Giuseppe Lembo | BlogPurtroppo e con grave danno per tutti, il male oscuro del Cilento (che tanto oscuro non è, in quanto è da tempo, ben risaputo che ha le sue radici profonde in una sofferta condizione umana), ha irrimediabilmente aggravato le condizioni di vita nella Terra di Parmenide.
Contro i danni gravissimi causati da questo profondo male oscuro, l’uomo del Cilento, senza perdere altro tempo prezioso, deve saper agire e reagire; deve, con protagonismo che, purtroppo, non ha mai avuto, agire e reagire, da subito, costruendo ponti di solidarietà, per un nuovo insieme umano, cancellando dai territori quei tanti muri violenti inopportunamente innalzati contro i più deboli; contro le tante umanità paesane da sempre rassegnate ad un destino contrassegnato dal “così è” e dal “non c’è niente da fare”.
Purtroppo questo triste convincimento è stato da sempre la causa devastante di una rassegnazione che è diventata parte viva del sempre più maltrattato vivere cilentano dove furbescamente si è abusato della gente, privandola anche della libertà di sentirsi libera e mettendola nelle amare condizioni di un vivere non vivere, gravato dal peso oppressivo di una rassegnazione fatta di un “così è”; fatta e sempre più, di un silenzioso e sottomesso, “non c’è niente da fare”.
Quanti guai per il povero Cilento, sedotto ed abbandonato, a causa di quel rassegnato “non c’è niente da fare”!
In virtù di questa disumana e fortemente condivisa condizione, i cilentani sudditi hanno continuato da sempre a piangersi addosso, sopportando da rassegnati tutte le tante amare negatività della vita, così come deciso dalle volontà cinicamente nemiche di quei cilentani che, da padre-padroni hanno governato sgovernando il Cilento, una Terra magica dalla mitica “bellezza”, dai saperi e dai sapori, purtroppo, solo formalmente assunti a patrimonio dell’umanità.
Così facendo non c’è stata mai una vera e credibile rappresentanza del Cilento; una rappresentanza attenta all’intero territorio, capace di azioni condivise e di altrettante idee condivise necessarie per un Progetto Cilento, con in primo piano i valori ed i diritti fondamentali dell’uomo; purtroppo, niente di tutto questo.
Al Cilento è mancata quella saggia umanità che la si poteva trovare, volendolo, dai saperi eleatici dell’essere, qui e più che altrove ammorbato da un apparire disumanamente invadente che ha inquinato le coscienze della gente, rendendole egoisticamente indifferenti a tutto; rendendole solo e sempre più, superficialmente “protagoniste” di un apparire alla ricerca del solo egoistico avere e di un assordante tutto per sé, con crescente indifferenza per l’insieme umano degli altri, considerati inutili e scomodi.
E così il Cilento, il saggio e mitico Cilento, ha assistito nell’indifferenza, alla crisi di un mondo solidale che aveva le sue profonde radici nella Terra e negli uomini che la abitavano.
Sempre più indifferenti anche alla propria madre Terra, i cilentani, soprattutto quelli che non hanno mai lasciato il Cilento, sono rimasti con le loro caratteristiche di sempre; tanto, pur vedendosi crollare addosso le umane caratteristiche di un mondo contadino che il tempo andava cancellando, lasciandolo privo di utili alternative e sempre più circondato da un vuoto assolutamente incolmabile.
Il modello di società contadina, fortemente solidale e funzionante, a partire dagli anni cinquanta, andava scomparendo; tanto ed in gran parte, per effetto di una fuga biblica dai territori cilentani.
I cilentani che abbandonavano la Terra, altrove diventavano altro, acquisendo un nuovo fare e nuovi comportamenti umani e sociali.
Il Cilento, in tutte le sue parti, è oggi in una condizione di grave sofferenza; di grave e disumana sofferenza che non promette niente, ma proprio niente di buono; in fondo alla strada Cilento c’è, purtroppo, un default da tempo annunciato.
Si tratta di un fallimento inevitabile con la responsabilità complice della gente cilentana che non si è opposta negli anni ai mali cilentani, contro i quali, non solo non si è attivata denunciandoli, ma ha sempre e solo manifestato una indifferenza complice.
Il Cilento come e più di altre realtà è fortemente ammalato di uomo; le colpe umane sono tante e tutte ben visibili.
L’uomo cilentano fa male e si fa male; l’uomo cilentano si crea i problemi (tanti problemi); una volta creati, proprio non sa cosa fare per trovare le soluzioni giuste.
Confusamente agisce e reagisce senza venirne a capo; l’insieme dei problemi che opprimono diventa un grave insieme; un insieme dal peso assolutamente insopportabile.
Ai mali del Cilento da chi e quali risposte vengono date? Purtroppo poche ed assolutamente poco efficienti.
Manca il protagonismo del fare; manca la cultura del fare e soprattutto la politica del confronto.
Tutto si fa in grande e sofferta solitudine.
Nel Cilento ’indifferenza politica diventa naturalmente un moltiplicatore di indifferenza; tanto, ad un punto tale che le cose ed il fare anormale, sono in sé considerati come le più naturalmente normali.
A parte gli aspetti socio-antropici, così come evidenziato, nei comportamenti umani, c’è da considerare attentamente la disumanità delle condizioni che rendono il Cilento, sedotto ed abbandonato, una Terra naturalmente “bella da vivere”, sempre più disumanamente invivibile.
Prima di tutto, sul Cilento c’è la grave dannazione degli abbandoni.
I cilentani nel mondo sono tanti; sono veramente tanti, con gravi danni per il futuro dei territori.
L’emigrazione ha sempre portato via il meglio delle risorse umane cilentane; si è trattato delle risorse umane più giovani, più professionalizzate, più capaci di attivare sui territori nuovi processi, creando quel cambiamento e quello sviluppo da sempre invocato, ma di fatto sempre negato, rendendo le comunità umane fortemente residuali e stancamente indifferenti a tutto ed assolutamente indifferenti anche al proprio futuro.
E così il Cilento con le sue risorse naturali, con i suoi saperi, con le sue tante testimonianze e con quella bellezza mozzafiato che caratterizza il suo paesaggio, non ha saputo mai uscire dall’indifferente solitudine ed essere come meritava e merita, una realtà umanamente e territorialmente sviluppata.
Tanto e non ultima causa per quell’effetto trascinamento che ha caratterizzato in gran parte del Sud i territori demograficamente minori, trasformandoli da “territori belli da vivere”, in “territori assolutamente invivibili”, per mancanza, tra l’altro, di un insieme comunitario capace di fare rete e di uscire dalla solitudine familistica, pensando a stare insieme cooperando, per garantire quella vivibilità diversamente negata.
Il povero Cilento ha sopportato in silenzio il suo dramma antico di abbandoni e di diffusa crescita del suo sottosviluppo territoriale; tanto, prima di tutto, per quella solitudine che non ha permesso e non permette la nascita della coesione sociale e di quell’insieme solidale, un importante presupposto per il cambiamento e lo sviluppo territoriale.
Purtroppo, con un fare aggressivamente negativo, si è agito sottraendo al Cilento il meglio di sé; prima di tutto in modo inarrestabile lo si è depredato impoverendolo del meglio delle sue risorse umane, lasciando sui territori le sole presenze residuali di anziani con, tra l’altro, anche poche donne e bambini, a cui veniva assegnato il non facile compito di coltivare la Terra, in crescente decrescita di produzione dei suoi buoni frutti che oggi ritroviamo come simbolo di un vivere sano alla base del mangiare mediterraneo, una dieta salutistica che appartiene al Cilento e che grazie ad Angel Keys, che l’ha scoperta, è diventata patrimonio immateriale dell’umanità.
Nonostante tutto questo, il povero Cilento non è mai riuscito ad imporsi all’attenzione del mondo; tanto, essendo, tra l’altro, l’ombelico del mondo, per essere la Terra del pensiero parmenideo dell’essere, un pensiero universalmente importante verso cui l’apparire dei buontemponi cilentani, a tutti i livelli, manifestano indifferenza, non rendendosi così conto del danno che causano all’umanità ed in particolare al loro futuro, tragicamente segnato da un apparire che va prendendo tutto di sé.
E così il miracolo Cilento, un miracolo con alla base la seduzione e l’abbandono, avvolge tragicamente tutto di sé.
Il Cilento è ormai in agonia; il Cilento sempre più privo di risorse umane giovanili, vive il suo assordante presente, con assoluta indifferenza per il futuro.
Trattasi di un futuro considerato ormai negato; tanto, ad un punto tale che non si fa niente per evitarne il suo rovinoso corso, a danno di un territorio meraviglioso, abitato da gente con un fare di vita assolutamente buonistico, purtroppo, fortemente individualista ed incapace di attivare i necessari meccanismi di sviluppo, il frutto di un Progetto di vita con alla base le idee condivise degli uomini dei territori.
Tutto questo è sempre mancato al Cilento; tutto questo, con l’insipienza del “non c’è niente da fare” ha portato la gente ad arroccarsi in se stessa, vivendo da rassegnata la propria vita, proiettata in un presente destinato ad implodere, così cancellando ai territori ed alla gente, ogni prospettiva di futuro possibile.
Si vive di solo presente, del tutto indifferenti a quel che sarà.
Il male che ne consegue è un profondo male oscuro; fa male, tanto male, prima di tutto, alla gente rassegnata e ripiegata su se stessa, con atteggiamenti passivamente assorbenti per tutto quello che le viene imposto e che accetta senza agire e/o reagire.
I territori senza la presenza dei contadini che ne erano attenti custodi e guardiani, sono sempre più abbandonati a se stessi e vanno lentamente degradandosi, scivolando a valle.
Le acque non più intelligentemente regimentate penetrano nel suolo creando situazioni diffuse di frane e dissesti; tanto, anche per effetto di un crescente disboscamento, senza alternative di un utile ripopolamento arboreo.
Le strade sono sempre più impraticabili ed a rischio; molte sono le strade chiuse per frane; per caduta di ponti; per mancata manutenzione.
Sempre più abbandonate a se stesse non permettono all’uomo di attraversarle e di percorrerle giornaliermente per raggiungere i diversi punti di un territorio sempre più solo con se stesso, con la diffusa crescita di anno in anno, delle aree improduttive che tornano di nuovo ad essere aree incolte dopo il lungo e sofferto lavoro dei contadini che nel passato le avevano trasformate da incolte a territori coltivati, con le tante colline cilentane olivetate, capaci di produrre in abbondanza l’olio del vivere sano, un elisir di lunga vita, per le sue inconfondibili caratteristiche organolettiche.
Ma oltre al suolo sempre meno amico, sono tanti i punti di sofferenza presenti nel sempre più abbandonato territorio cilentano; un territorio, fatto, tra l’altro, di tante piccole realtà umane, con il loro campanile a simbolo della propria gelosa ed intoccabile appartenenza; un simbolo, quello del campanile che, purtroppo, ha complicato le cose cilentane, rendendo sui territori assolutamente difficile un insieme umano coeso e capace di fare rete.
E così un mondo bello da vivere, dove era possibile conoscere il meglio dell’ospitalità amica, si è lasciato prendere dai falsi miti di un sempre più falso ed apparente progresso, diventando sempre più, attento protagonismo di una falsa Rete dell’apparire, dove senza dialogo e senza confronto, ciascuno si sente protagonista di un angolo di un mondo dell’apparire, virtuale e reale allo stesso tempo, da far conoscere agli altri, sentendosi così uomini vivi; uomini veri, capaci di comunicare tutto se stessi al resto del mondo.
Mentre sono avvenuti questi fatti che hanno influito e non poco sull’umanità cilentana, le condizioni di vita delle singole realtà umane si sono andate lentamente ed inesorabilmente aggravando; tanto, per effetto di un malessere diffuso dovuto ad un crescente disagio antropico, a causa del degrado territoriale, della fuga inarrestabile del mondo dei giovani, dell’incapacità diffusa di dare giuste risposte ai territori, privati, tra l’altro, in tutte le loro parti, delle strutture ed infrastrutture necessarie per poterci vivere.
Cancellate le scuole per le culle vuote; chiusi gli uffici postali, perché non più utili a rastrellare risparmi da investire altrove, ridotti e/o del tutto cancellati i trasporti e soprattutto maldestramente eliminati i servizi territoriali socialmente utili, con la demenziale chiusura dei servizi di prima necessità quali quelli sanitari che, come dimostra la chiusura dell’Ospedale di Agropoli, hanno caricato di precaria provvisorietà anche la sopravvivenza delle persone che, con le strade, tra l’altro, sconquassate, sono costrette a morire di Cilento sedotto ed abbandonato.
In questo Cilento c’è oggi, più che mai presente il falso protagonismo di un apparire sempre più invadente; tanto, con la gente che vive male e proprio non sa che fare per trovare soluzioni possibili ai propri disagi di una vita, sempre più impossibile da vivere.
Al primo posto nell’umano disagio cilentano c’è la mancanza di lavoro; un vuoto assordante per tutti e soprattutto per i giovani che, sempre più malvolentieri, sono costretti a trovare come soluzione per vivere, quella di sempre, fuggendo dalla Terra dei padri.
Il Cilento senza Rete umana concretamente utile al suo futuro vive la sua agonia senza resurrezione nella più assoluta indifferenza istituzionale di chi dovrebbe progettare intelligentemente il futuro partendo dalle risorse dei territori, con attenzione prevalente per quelle risorse umane, una risorsa-ricchezza assolutamente indifferente a quanti dovrebbero attivamente occuparsene, creando le situazioni di uno sviluppo possibile; tanto, facendo, prima di tutto, funzionare il proprio cervello e con il proprio cervello, quello del popolo amministrato che preferisce abbandonarsi al proprio vivere quotidiano oziando, con la convinzione che c’è qualcuno che comunque garantirà a tutti la sopravvivenza, pur non lavorando.
Ultima ciliegina cilentana è quella istituzionale; da Roma è purtroppo, sempre più cancellato l’impegno per il Sud in generale.
Il Cilento non ha nessunissima considerazione; sanità, trasporti, viabilità, qualità della vita, diritti del cittadino, libertà della persona, sono dei veri e propri tabù cilentani.
Sono diritti sempre più negati, in quanto espressione di un’italianità a cui non è dovuto niente se non di sostenere lo Stato padrone con tasse e balzelli sempre più impossibili; sempre più disumani al centro come in periferia.
A collezionare la raccolta di fondi, attraverso le tasse, per garantire il funzionamento dello Stato centrale, sono gli enti territoriali che non permettono alla gente neppure di respirare, gravata com’è da tasse e balzelli sempre più insopportabili.
Anche nel Cilento, sedotto ed abbandonato, appare con tutta evidenza l’avidità dello Stato e dei suoi organismi collegati che svolgono sempre più attentamente bene la loro funzione di agenti di riscossione di tasse amare che fanno veramente piangere i poveri malcapitati italiani, soprattutto poi, se trattasi di poveri malcapitati italiani cilentani che maledicono il giorno di essere nati e di vivere in un territorio, ombelico del mondo per i saperi che rappresenta, dove sono in tanti che per insipiente disumanità diffusa, maledicono il giorno di essere venuti al mondo e di trovarsi a vivere in un angolo di Terra chiamata Cilento, dove non solo non è facile vivere, ma neppure sopravvivere.
Ultimo regalo di Roma al territorio di Parmenide è stato quello dell’istituzione del Parco Nazionale, un organismo territoriale di tutela ambientale dal quale ci si aspettava il nuovo Cilento.
Purtroppo, non è stato per niente così; affossato da un farraginoso sistema burocratico centro-periferia, il Parco del Cilento, come gli altri Parchi d’Italia non è mai decollato; non è stato, come promesso, volano di sviluppo, nel più rigoroso rispetto ambientale.
Niente di tutto questo. Solo confusione e tanti privilegi con i diritti assolutamente negati per la gente che, oggi più che mai si sente chiusa in un recinto, senza sviluppo e senza autonomia d’uso del proprio territorio; di un territorio dove tutto è possibile, compresa la nomina a commissario sine die di un Presidente ad incarico ultimato; oltre a tutto questo, espressione dell’indifferenza per i legittimi diritti della gente, c’è, tra l’altro, un uso-abusato del territorio abbandonato a se stesso ed ambientalemte maltrattato per le numerose discariche abusive nei tanti pregiati luoghi naturali, con l’uso-abusato di diserbanti e veleni in agricoltura (altro che biologica!) e l’affidamento a guardiani del Parco a mandrie crescenti di cinghiali, per niente autoctoni, maldestramente introdotti dal Parco, con una forte capacità di inserimento distruttivo e di vicinanza ai luoghi piccoli e grandi che devono conviverci, subendo, soprattutto i poveri agricoltori, gravi danni per le colture sempre più a rischio e sempre più esclusi dal mondo dei campi essendo di fatto maldestramente estromessi dalle loro legittime proprietà, ridotte ad anfratti naturali con scavi che compromettono la stessa integrità fisico-naturale dei luoghi e grandi situazioni di pericolo per la gente che qui vive, lavora e … muore di Cilento.
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