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LE IDEE A CONFRONTO. NELL’ITALIA DISMESSA C’È CHI ANCORA CREDE NEL CONFRONTO TERRITORIALE DELLE IDEE

LA DIFESA DELL’IDENTITÀ È SVILUPPO

📅 venerdì 28 ottobre 2016 · 📰 CulturaCilento

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foto autoredi Giuseppe Lembo | Blog

È sempre più importante nel nostro Paese e per il futuro del nostro Paese, il confronto delle idee; un confronto dinamicamente vivo dal locale al globale.
Questo confronto io l’ho assunto come percorso di pensiero in cammino in un mio blog sul web che ho intitolato “La fabbrica delle idee”.
Produco idee e le offro al confronto degli altri; tanto, al fine di diventare idee condivise; tanto, al fine concretamente utile di farle diventare espressione del fare territoriale e quindi risorsa antropica per un rigenerato insieme in cammino, capace di produrre cambiamento e sviluppo; capace di dare un’anima viva a quelle tante risorse territoriali abbandonate e convintamente unite nel pensiero comune del “non c’è niente da fare”.
Questo è quanto succede oggi; questo è quanto succede oggi soprattutto in casa nostra al Sud, dove ha agito ed agisce un familismo amorale, sempre più trasformato in individualismo indifferente agli altri ed all’utilità sociale dell’insieme comune che non ha permesso al Sud di svilupparsi, facendolo rimanere indietro ad un punto tale da diventare per tante sue parti, un mondo anche umanamente negato, soprattutto per la smania di dismettere tutto, riportando indietro i territori ormai desertificati; ormai, per mancate condizioni di vita possibile abbandonati a se stessi e così facendo, dal futuro cancellato.
Tanto, per quel fare umanamente, socialmente, culturalmente e politicamente sbagliato che ha fatto tanto male al Sud, rendendone tanti suoi territori, territori dalla vita negata; territori cancellati e senza possibilità alcuna di futuro.

Purtroppo, in tante parti del Sud e soprattutto nelle piccole realtà appenniniche di montagna e più in basso in collina, il piccolo con i suoi Paesi dell’anima, considerato bello da vivere, è oggi una realtà territoriale amaramente disumana e dal futuro negato; tanto, con le gravi conseguenze di una fuga senza ritorno, lasciando sui territori un solo mondo di vecchi abbandonati a se stessi ed in attesa che si aprano le porte dei cimiteri. E così, i tanti Paesi dell’anima, per invivibilità diffusa, sono diventati Paesi senz’anima.
Queste amare note sull’Italia minore, soprattutto al Sud ed in Campania, Regione di tanti piccoli comuni ormai al collasso per invivibilità diffusa e per il suo grave spopolamento, senza alcuna prospettiva di futuro, mi viene suggerita da un commento su di un quotidiano campano “La città di Salerno” del 12 ottobre 2016, a firma di Beppe Carpentieri.
Il titolo è “La difesa dell’identità è sviluppo”. Un titolo che condivido e che addirittura considero assolutamente valido anche in riferimento al contesto globale in cui sta vivendo il tempo nuovo del Terzo Millennio.
C’è però da verificare da vicino l’insieme identitario e se ha ancora in sé le condizioni oggettive e soggettive per diventare leva di sviluppo.
L’identità, l’appartenenza, le radici con tutto quello che hanno in sé sono forti ed importanti espressioni antropiche di un insieme umano che nel passato, con questi riferimenti utilmente positivi, ha funzionato come insieme di saggia umanità, con un fare solidale e capace di importanti atti di solidarietà umana e territoriale. Tanto soprattutto, nel mondo contadino fatto di aggregazioni umane prossime a scomparire, dal passato con un fare solidale che agiva per il bene comune anche nel lavoro non remunerato, ma fatto di scambio degli uni con gli altri nella coltivazione dei campi e/o in azioni condivise e funzionali alla salvaguardia dei territori nel ruolo di guardiani intelligenti e solidali dei loro comuni spazi di vita e del loro insieme umano condiviso.
Condivido in pieno la premessa di Carpentieri sull’”opportunità di ripensare relazioni ed interazioni spaziali”, finalizzando il tutto alla valorizzazione del territorio.
A tal fine l’autore fa intelligentemente osservare che, “merci e beni sono carichi di significati simbolici e influenzano le relazioni”.
Tanto considerato, che fare? Da dove partire per quel cammino virtuoso legato ad un’appartenenza, espressione di una comune anima territoriale che, purtroppo, e con grave danno per tutti, oggi proprio non c’è?
Questo vuoto rappresenta una grave sofferenza antropica per tutti e per tutti quei territori in crisi di sviluppo che potrebbero rigenerarsi e svilupparsi appellandosi alla forza dell’identità.
Pur riconoscendola un’importante risorsa antropica, sono amaramente convinto che non ci sono attualmente le condizioni per fare dell’identità una leva per lo sviluppo possibile e sostenibile.
Tanto, non per negativismo gufista come va dicendo il nostro Premier, Presidente del Consiglio. Tanto e soprattutto perché i nostri territori nelle aree vocate all’identità-risorsa e quindi primo motore di sviluppo, l’uomo suo protagonista centrale, è stato abbondantemente cacciato, da una grave e diffusa mancanza di vita possibile (suolo degradato, strade dismesse, uffici postali chiusi scuole chiuse, servizi per la salute annullati, opportunità economiche e tante nuove prospettive di futuro assolutamente negate).
Tutto questo ha determinato la fuga della gente dai territori; la fuga soprattutto dei giovani e dei cervelli che, privi delle risorse umane necessarie allo sviluppo, si sono andati, in modo concretamente irreversibile impoverendo, ad un punto tale che siamo ormai in una condizione di vita negata; siamo, senza pensare al disfattismo, per sola posizione strumentale di un negativismo fine a se stesso, ad un punto senza ritorno; siamo, al non c’è niente da fare.
Purtroppo, a come stanno le cose nei Paesi dell’anima, ridotti sempre più senz’anima, c’è da dire che nel “Piccolo italiano” anche le cose importanti come l’identità, l’appartenenza, il radicamento, non sono assolutamente spendibili come risorse umane e territoriali in quanto negate da chi doveva garantirle e favorirne con forza, la presenza sui territori, utilizzandole con saggia determinazione, come risorse per lo sviluppo umano e territoriale.
Tanto, non è stato fatto, per cui sono rimaste risorse immateriali, senza valore e significato ai fini dello sviluppo possibile; sono, così come sono, orfane del necessario per vivere i territori, risorse non risorse, per cui è inutile ed ingannevole girarci attorno, utilizzandole in tutte le salse, come risorse spendibili ai fini dello sviluppo.
Tanto non è, per quel mancato virtuosismo decisionale del pensare e del fare che non ha permesso a tanti territori del Sud di svilupparsi, così liberandosi della cappa opprimente del suo storico sottosviluppo umano e territoriale.
Oggi le buone intenzioni del dire, mancanti tra l’altro ancora delle buone intenzioni del fare non servono a cambiare le cose di realtà e mondi locali che, cammin facendo e con rammarico bisogna riconoscerlo, hanno visto il loro oro, fatto di umanità un tempo vive ed oggi purtroppo cancellate, rovinosamente ridotto in cenere; tanto, per un vuoto crescente e diffuso di presenze umane costrette a fuggire per non morire, essendo stato private di tutto il necessario per vivere.
Caro commentatore Beppe Carpentieri, se proprio non vogliamo continuare a prenderci in giro, almeno da parte di chi onestamente produce idee e le offre, da comunicatore autentico, al confronto con gli altri, bisogna dirsi ad alta voce come stanno le cose; tanto, al fine di evitare false attese da quei disperati della Terra che, purtroppo, non avendo vie di fuga, sono stati costretti a rimanere nei luoghi di appartenenza, dove gli usi, i costumi, i consumi non più quelli di una volta, sono sempre più solo immaginariamente tradizionali e con alla base le sole utili suggestioni del “così come una volta”. È a questo punto, un dovere di tutti affrontare con la dovuta chiarezza le cose del tempo nuovo in cui viviamo, nel quale le sole suggestioni servono veramente a poco.
Con un fare responsabile, si può tentare di rimettere quella necessaria prima pietra per far ripartire anche i territori abbandonati e la gente che li abita; tanto, sempre che si cancelli quella maledetta dismissione che non permette alla gente di viverli, costruendovi, così com’è possibile fare con la forza identitaria dell’appartenenza, le condizioni umane per uno sviluppo ancora possibile; uno sviluppo da tradurre prima di tutto in lavoro necessario a ripopolare le tante terre abbandonate in quanto rese umanamente invivibili, da quei farisei del fare mancato che egoisticamente, per quelle briciole di potere che si ritrovano a gestire, pensavano e pensano al “va bene così”, cancellando tragicamente anche le buone occasioni di vita basate sulle risorse valoriali di un passato che non c’è più e che è assolutamente difficile da farlo tornare.
La tradizione familiare, così come descritta, proprio non c’è; è solo una favola di chi crede ad un passato fatto di tradizioni e di un fare familiare da tempo cancellato.
La salsa di pomodoro, le melanzane fatte in casa e tutte le altre cose del passato, come l’economia del maiale fatto in casa, sono parti di un’ormai scomparsa tradizione di un’economia familiare che proprio non c’è più.
Purtroppo, sono tutte insieme, il passato; il passato che non può tornare, perché mancante delle sue condizioni di una volta, siano esse umane che sociali ed economiche.
Il Sud, la Campania, il Cilento ed i tanti piccoli Paesi dell’anima, ormai e sempre più senz’anima, per la grave mancanza della gente che li ha abbandonati, anche sui territori dove tra mille difficoltà e sofferenze vive ancora la poca gente, si è cercato di cancellare i segni di mondi lontani con le caratteristiche devastanti di una diffusa povertà personale, familiare e di forte sofferenza nell’insieme sociale.
Anche i territori dell’anima con la loro produzione residuale ed assolutamente poco produttiva soprattutto per l’età avanzata di chi è rimasto, risente del profondo cambiamento in atto, con l’altrettanto profonda trasformazione delle relazioni sociali; la gente del nostro tempo ha assorbito in modo diffuso il modello consumistico che appartiene alla più generale società dei consumi del Terzo Millennio, un tempo dove il protagonismo diffuso della mercificazione incide, cancellandolo, sul passato dal forte senso dell’appartenenza familiare e comunitaria.
Purtroppo siamo di fronte a scenari completamente nuovi, dove il mondo della vecchia cultura contadina è stato cancellato da un fare consumistico che ha messo da parte l’ESSERE ed i valori dell’ESSERE, facendo credere che si vale unicamente per quello che si consuma; tanto, nella più assoluta indifferenza per lo sviluppo umano che, così facendo, anche nelle periferie rurali, anche nei tanti Paesi dell’anima, è diventato sviluppo assolutamente negato.
Beppe Carpentieri si augura, rivolto al mondo salernitano in generale che, l’umanità salernitana, sia singolarmente che come insieme sociale, sappia riappropriarsi di se stessa; dell’identità del passato e così facendo, sviluppare saggiamente, le utili pratiche di vita di una comune condivisione culturale per un comune recupero di usi e costumi culturali che appartengono al passato e che volerli riportare in vita è come sognare ad occhi aperti.
Le tante identità territoriali sono purtroppo lontane da noi; è impresa ardua se non impossibile, il solo pensare di proteggerle e riportarle a nuova vita.
Tanto, non è assolutamente possibile; chi lo pensa, non fa altro che sognare ad occhi aperti. C’è una così forte e diffusa contaminazione in atto per cui è assolutamente impensabile che si possano trovare forme di utile protezione e rigenerazione di un passato identitario ormai cancellato.
Bella ed anche saggia la proposta di adottare come protezione la “costruzione identitaria del sistema locale”.
Innanzitutto, c’è da chiedersi se esiste ancora un sistema locale e quali siano concretamente i suoi riferimenti antropici e culturali sui territori; quali gli stili di vita autoctoni che andrebbero recuperati per una saggia conservazione identitaria che, passando per il presente cancellato, possa diventare futuro possibile.
Il recupero senz’anima dei centri storici, dove tra l’altro, si tolgono sempre più le pietre parlanti per trasformarle in “altro” ambientale, assolutamente discutibile.
In un altro soprattutto antropologico, senza tempo e senz’anima, con grave indifferenza per quel mondo dei vecchi mestieri che riempiva di vitalità amica i Paesi senz’anima in ogni angolo, in ogni stradina dal volto umano e parlante di uomo; siamo, purtroppo e sempre più, in condizioni assolutamente diverse, con il tutto antropico cancellato dal nuovo consumistico, con alla base un divino tecnologico che non ha lasciato spazi utili per il fare umano, basato essenzialmente sulla creatività dei cervelli e sulla laboriosa manualità, un tempo preziosi per l’uomo, in quanto erano le due risorse umane che facevano comunicare il mondo e realizzavano le produzioni a misura d’uomo, dando a ciascuno di esse il giusto senso e che, così saggiamente trasmesso, lo si ritrovava negli stili di vita, con comportamenti fortemente territoriali, così come nella lunga storia dell’uomo.
Purtroppo, i tempi sono profondamente cambiati. Oggi anche gli ambiti delle umanità locali, sono ambiti, per modelli di vita, fortemente influenzati ed allargati al resto del mondo, dove e prima di tutto, c’è il dio consumo forte espressione di un insieme universale, assolutamente indifferente e poco rispettoso della cultura materiale ed immateriale del sistema locale in cui viviamo, sempre più difficile da conservare, evitandone le aggressive forme di contaminazione esterna.
Caro Carpentieri, io che sono positivo in tutto e soprattutto per il futuro delle nostre identità antropiche e culturali sono profondamente pessimista. Tanto, pur avendo negli anni ottanta ho pensato e realizzato ad Ortodonico Cilento, un Museo della memoria per la saggia conservazione materiale ed immateriale della civiltà contadina, oggi in diffusa crisi di estinzione territoriale, in quanto territorialmente indifferente a quelli che ne sono stati gli eredi ed i possibili continuatori almeno nella memoria delle cose ereditate.
Fare sistema localmente non è assolutamente facile. Tra l’altro, sarebbe un’operazione poco utile, in quanto in sé non avrebbe la forza per ridare un’anima ai territori fortemente desertificati ed assolutamente incapaci di attrarre risorse umane dalle braccia ed ancor meno dai cervelli già da tempo in fuga per il mondo, negandosi, così facendo, alla Terra dei Padri.
Al Sud, alla Campania, al salernitano ed alle tante sue aree interne fortemente dismesse non giova sognare; non giova il pensiero anche saggio, delle cose e soprattutto delle umanità proibite, perché da troppo tempo abbandonate a se stesse.
Al salernitano delle aree interne fanno bene le idee, sempre che, cammin facendo, possano diventare idee del fare; idee di un fare condiviso, capace di creare il tanto atteso cambiamento e sviluppo, per così restituire alla gente ancora non fuggita ed ai tanti cervelli e braccia in fuga dalle Terre dei padri, per cercare altrove mondi umanamente condivisi da riportare a casa per farli vivere là dove sono nati, mettendoli in una sana sicurezza di vita, tanto da potersi sentire uomini veri a casa propria e così costruirsi il futuro a più mani, un’importante risorsa di vita sia individuale che d’insieme umano e sociale.
Purtroppo ed io me ne rammarico profondamente, la dimensione dell’avere e dell’apparire fa sentire protagonisti di vita solo consumando; è una dimensione che unisce l’Italia dal Nord al Sud e non si salvano, tra l’altro, i territori ed i tanti Paesi dell’anima, fatti di tante piccole realtà identitarie considerate nello scritto di Beppe Carpentieri, come possibile salvagente; come ancora di salvataggio che può favorire la rigenerazione anche dei territori minori, coinvolgendo la gente nel “percorso educativo”.
Non è il mio un partito preso al fine di sostenere la mia contrarietà ad una condizione umanamente nuova utile a creare il cambiamento e lo sviluppo. Magari! Magari fosse così!
Se fosse possibile, sarebbe una cosa eccellente per tutti e soprattutto per quei territori dell’anima che, con la loro forte identità, rappresentavano un tempo l’anima saggia del sistema locale.
Oh tempora! Oh mores! Tutto, purtroppo, è cambiato; è cambiato l’UOMO del nostro tempo, sia nei mondi locali che globali. Niente, quindi, può essere come prima, in quanto è assolutamente difficile tornare indietro.
Magari l’MDF (Movimento per la decrescita felice), riesca a fare il grande miracolo di riportare le lancette dell’orologio indietro, facendo evolvere, come dice Carpentieri “il nostro retroterra nella direzione bieconomica”.
Tanto da cambiare i consumi, non più e solo consumistici, producendo così un effetto saggiamente virtuoso per l’economia locale.
Insisto che non è possibile e che è solo un bel sogno ad occhi aperti.
Quale società territoriale, quale comunicazione mediatica e/o quale scuola del Sud, territorio salernitano compreso, potrebbe mai cambiare le abitudini della gente che, ha fatto di tutto per spogliarsi di quell’identità scomoda e sofferta di un passato che proprio non piace a nessuno riviverlo! Tanto è così, anche se trattasi di un fare umano poco virtuoso, fortemente egoistico, avvitato intorno al solo Io mondo ed assolutamente indifferente all’Io-Noi ed ai comportamenti virtuosi di una specie umana che, purtroppo e sempre più, tale non è e che proprio non gliene importa niente di avere relazioni con gli altri saggiamente misurate e basate non tanto sul consumo e sulla ricchezza, quanto sui valori umani e sulle radici identitarie che vengono o dovrebbero venire prioritariamente dall’appartenenza dell’UOMO dei saperi.
Auguri cari, mio amico Beppe Carpentieri. Ti prometto da sociologo, da comunicatore autentico, da scrittore e da uomo di questa Terra, fortemente ammalata di UOMO, di essere al tuo fianco.
Purtroppo, pur sapendo che quanto tu desideri attraverso le tue idee a confronto, è un percorso di vita felice, assolutamente negato, quindi se lo condividiamo, siamo due perdenti, per l’impossibilità assoluta di trovare i necessari consensi degli “altri” del sociale salernitano, campano, meridionale e/o di altre parti d’Italia, perché ormai si riconosce ed unicamente nel solo modello di vita consumistica che unisce il locale ed il globale; tanto, diffusamente e senza altro per la testa.
Tanto, assolutamente indifferenti a quel protagonismo con le radici identitarie in un passato ormai cancellato e che non può diventare anima viva e quindi vita di un capitale sociale a cui nessuno crede; anzi, verso cui c’è assoluta indifferenza perché è comune l’indifferenza, suicida per quel territorio trasformato, con l’ambiente un tempo rispettato e l’UOMO, saggio protagonista di una vita, non più oscurata da una classe dirigente nanisticamente mediocrizzata.
Questo è! Questo è quanto mi sento di dire a proposito delle “belle idee” che appartengono ai soli sogni italiani e che rincorrendoli, non possono garantire niente di concretamente utile al presente ed ancor meno al futuro.
Comunque, caro Beppe Carpentieri, non ti fermare mai! Percorri, con le tue “belle idee” tutte le strade possibili!
Il confronto delle idee, come laboratorio di vita, è una grande risorsa per il futuro del mondo; è una risorsa assolutamente necessaria per cambiare il mondo e per costruire, attraverso il confronto delle idee, un mondo nuovo.

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