MA I PARCHI NATURALI SONO DA PROTEGGERE OPPURE OCCASIONE DI SVILUPPO?
di Paolo Abbate | BlogLo sviluppo diventa una parola pericolosa in bocca a molti amministratori e imprenditori senza scrupoli. Se poi lo si definisce con l’aggettivo sostenibile, diventa uno strumento ambiguo, una presa in giro veramente. Mi spiego. C’è la crisi e la gente, abituata al troppo facile consumo di risorse, deve pur continuare a vivere, pensando allo stesso tempo alle generazioni future. E allora come è possibile risolverla questa crisi insopportabile? Con lo sviluppo economico naturalmente, ovvero consumando però quello che è rimasto delle risorse naturali, cioè di suolo, combustibili fossili, ecosistemi naturali come mare, fiumi. foreste, tutte risorse non inesauribili. Si finirà quindi come il serpente della storiella, che si mangiava la coda per sfamarsi: “finchè la dura”, disse il signore che passava di là. Si assiste pertanto a paesi rivieraschi che si sentono troppo stretti in un parco naturale per i troppi vincoli esistenti, e chiedono a gran voce la riperimetrazione del loro territorio. Ma per far cosa? Non è difficile a capirlo: per poter continuare a costruire villette per vacanza, ipermercati che distruggono l’economia paesana, case con piscina in luoghi panoramici o a due passi dal mare (molto spesso abusive), porti con super moli, teorie di lidi balneari in spiagge rinomate per la loro bellezza, contendendosi i turisti, spolpandoli fino all’osso, come suol dirsi. Non dimentichiamo, per carità, le perforazioni petrolifere in mare o in zone protette, oppure le costruzioni in aree a forte pericolo idrogeologico o di terremoti.
Insomma, sviluppo economico (sostenibile naturalmente) costi quel che costi. E i parchi naturali, ultimi rimasti da spolpare, sono presi di mira insieme a la sua legge quadro del 1991, considerata ormai obsoleta, non all’altezza dei tempi. La grande conquista dei parchi naturali iniziò negli anni ’80, e vide l’Italia al primo posto in Europa per la sua percentuale di aree protette. I parchi nacquero anche e soprattutto pensando, guarda caso, a quel testo fondamentale come “La fine dello sviluppo”, voluto dal Club di Roma nel 1972. Il “Bel paese” si stava infatti mangiando il suo patrimonio naturale, paesaggistico, culturale con il così detto “miracolo economico”. E non è una frottola, se si pensa che l’80% delle costruzioni oggi esistenti sono state realizzate dopo la guerra, proprio grazie a quel miracolo di sviluppo (allora non lo si chiamava “sostenibile”perché vi era ancora molto da consumare).
Ma torniamo ai parchi naturali. Si assiste in questi mesi a molte riunioni e incontri sulla riforma della legge quadro, adesso in discussione al Parlamento. Riforma che interessa la vita e l’esistenza futura dei parchi naturali. Mi duole constatare che personaggi importanti delle istituzioni chiedono di riconsiderare i parchi “enti di sviluppo [riecco la parolaccia] e non solo di tutela fine a se stessa”. Ma la tutela fine a se stessa è proprio l’unico modo per conservare e tutelare quel patrimonio naturale aggredito sempre di più dall’umanità, convinta che sia stato creato per essere a sua disposizione . Ma ancora: tralasciando la strana proposta avanzata di creare una “zona franca” per un parco naturale, sul tema della riforma ritorna con prepotenza l’esigenza dello sviluppo nei parchi, perché lo vuole la gente. Quale gente, mi chiedo? Forse quella, considerata maggioranza , che vuole continuare a mangiarsi la “coda”, consumando le ultime risorse naturali?
Ebbene, meglio tenercele strette queste aree protette, magari ripensandole come volano importante di una “economia circolare”.
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