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CATELLO NASTRO, UN GENIUS LOCI DELLA CULTURA CILENTANA

Scompare un altro importante pezzo antropologico della cilentanità.

-Se niente può salvarci dalla morte, che almeno l’amore ci salvi dalla vita (Pablo Neruda)-

📅 giovedì 3 marzo 2016 · 📰 CulturaAgropoli

03032016 catello nastro
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foto autoredi Giuseppe Lembo | Blog

Il mondo cilentano, dal futuro umano e culturale sempre più debole e/o addirittura sempre più negato, ad uno ad uno, vede scomparire i simboli della sua sensibile anima culturale, espressione di un’umanità cilentana oggi in forte crisi, da sempre rappresentata dalla viva voce dei genius loci intelligentemente presenti sul territorio che, raccontandosi per raccontare, con lo sguardo rivolto al passato, passando per il presente, hanno sempre intelligentemente pensato ad affidare al futuro, la gente cilentana, protagonista di vita nella Terra dei saperi (quelli eleatici, prima di tutto) e dei saperi antichi, ricca, tra l’altro, di un mondo mitico e fortemente magico che ancora oggi anima tante realtà umane di una cilentanità, purtroppo, fortemente carica di sofferenze umane e territoriali, il frutto di un crescente conflitto uomo/natura/ambiente.
In questo contesto, umanamente difficile da vivere, con paesi dell’anima, soprattutto all’interno delle realtà collinari del Cilento, sempre più trasformate disumanamente, in paesi senz’anima, molti dei quali prossimi alla desertificazione, per mancanza di presenze umane produttive, capaci di costituirsi in famiglie e di generare nuove vite umane, così riempiendo, le tante culle vuote, c’è stata un’intelligente rete di uomini di cultura, di rilevante importanza, nel ruolo di genius loci.
Hanno rappresentato l’anima viva e narrante dei territori; tanto, attraverso il recupero delle tradizioni linguistiche, dei vecchi mestieri, delle tante testimonianze orali raccolte e conservate, dei sistemi produttivi, con la conoscenza dell’importante funzione salutistica dei prodotti della Terra, sempre più difficile da conservarne le caratteristiche genetiche per le trasformazioni violente dovute alla dimenticanza, all’abbandono, alle silenti mutazioni del DNA umano, territoriale e soprattutto arboreo, purtroppo, con caratteristiche sempre più modificate, tanto da cambiarne la presenza produttiva e gli stessi prodotti, sempre meno parte delle radici dei territori e del buon cibo da mettere a tavola.
Questo Cilento dell’anima è fatto di miti e di saperi, incorniciati tra l’altro e soprattutto, in una cultura dell’oralità parlante e narrante, trasmessa da una generazione all’altra.
Molto forte, in tutto questo, l’insieme familiare e quella diffusa volontà di raccontare, per raccontarsi, al fine di affidare ai giovani della famiglia il proprio futuro, non solo di vita familiare, ma della stessa vita dei campi di cui, sin da giovani, era assolutamente necessario conoscere tutto; tutto, dalle produzioni ai cicli di lavorazione ed al raccolto, la sola ricchezza familiare che ne garantiva la sopravvivenza durante l’intero anno con un’economia di povertà, affidata soprattutto alla donna, saggiamente custode del focolare domestico e della tavola su cui la sera, veniva consumato il parco cibo, dopo una lunga giornata di lavoro nei campi, subito seguito dallo stare insieme intorno al focolare, un magico luogo narrante, intorno al quale, i nipoti ascoltavano dai nonni i “cunti”, tra l’altro, ricchi di grande fantasia e di saggia umanità del fare che rendeva umanamente felice tutto l’insieme familiare , anche se povero; anche se fatto di soli sacrifici e di sofferenze umane per come si viveva.

Purtroppo, mancava tutto per vivere uno stile di vita, umanamente accettabile. Ma nonostante tutte le sofferte privazioni, si viveva pensando al futuro; si viveva pensando al futuro attraverso la saggia coltivazione dei campi che gli uomini di casa terrazzavano ed arricchivano di nuove piante, con i nonni attenti al futuro, impegnati a coltivare, al fine di farne godere i frutti ai “cari” nipoti.
Era questo il mondo contadino cilentano; era questo il mondo delle case contadine cilentane, fatto, tra l’altro, di un insieme condiviso, uomini-animali (gli asini per il trasporto, i buoi per coltivare la Terra, le capre per il formaggio ed il latte) che fantasticamente univa una generazione di umanità in cammino, all’altra, conservandone tutte le caratteristiche di umanità e di saperi, oggi, purtroppo e sempre più scomparsi.
In questo mondo, dal secondo dopoguerra ad oggi, ma anche prima, tra una condizione di analfabetismo fortemente diffuso, in tanti Paesi dell’anima del Cilento contadino, con un fare saggiamente illuminato, hanno lasciato delle cose intelligentemente fatte, tante persone cilentane, umanamente e culturalmente speciali.
Sono i genius loci del Cilento umano e contadino; una rete di umanità che oggi, purtroppo e sempre più, sta perdendo pezzi importanti senza che all’orizzonte si veda un ricambio possibile, assolutamente necessario per non far morire l’umanità cilentana e quell’anima narrante anche attraverso le cose, anche attraverso le pietre parlanti e la saggezza umana dell’ESSERE cilentano, un vulcano di umanità da vivere, con grave e sofferta sofferenza quando cambiano le cose, negandosi al futuro, riducendone così il cammino umanamente possibile.
Per scrivere, da amico dell’anima, della triste scomparsa a 75 anni di età del prof. Catello Nastro, un cilentano di Agropoli, pianto dalla città che lo ha visto protagonista di vita in tante occasioni culturalmente ed artisticamente importanti, ho preferito dedicargli questo mio iniziale pensiero al fine di ricordarne il ruolo da genius loci così come l’ha vissuto, esprimendosi ed esprimendo il meglio di se stesso.
Il prof. Catello Nastro oltre ad amare il Cilento, amava fortemente l’umanità cilentana ed i simboli che l’hanno espressa nel corso del tempo.
Catello Nastro, è stato il simbolo agropolese del “genius loci”, di un mondo che vivendolo, ha cercato di scoprire, scoprendo tutto quanto di magico era in esso contenuto.
Ha avuto, soprattutto e prima di tutto, come maestro dell’emergente pensiero antropologico italiano, Ernesto de Martino che, con il suo pensiero a distanza, ha saggiamente guidato i “saggi” genius loci del Cilento popolare e contadino.
La figura simbolo dell’etno-antropologia italiana era conosciuta ed amata dai tanti cilentani, come Catello Nastro, impegnati a scoprire il valore umano di un’anima popolare e contadina, purtroppo, assolutamente indifferente ai più.
La guida di un maestro del pensiero etno-antropoligico italiano ha dato i suoi buoni frutti anche nel Cilento con i genius loci, impegnati, tra l’altro, a scoprire le condizioni umane dei tanti tartassati di sempre, interessandosi al sistema di vita della loro civiltà, non solo materiale, ma anche e soprattutto, dei valori fondanti in essa contenuti, come parte di un insieme umano da vivere, per meglio conoscerlo e capirlo nella sua identità, generando vita di insieme.
A Catello Nastro, come in generale per il mondo italiano, de Martino, Annabella Rossi, Amalia Signorelli e lo stesso Marino Niola con Roberto De Simone e più oltre Tullio De Piscopo, piaceva conoscere tutto della gente cilentana; tanto, attraverso la loro condizione umana, attraverso il loro lavoro, attraverso l’insieme familiare, le tante espressioni della loro creatività, il loro stare insieme, compreso lo stare a tavola, i vecchi mestieri e le tante tradizioni sia religiose che della vita civile più in generale, con grande attenzione per i tre momenti (nascita, matrimonio e morte), di rilevante importanza per l’insieme umano di tutto il mondo popolare e contadino cilentano.
I percorsi di vita dell’umanità cilentana hanno avuto antropologicamente la loro anima, tra l’altro narrante, proprio nei genius loci del Cilento, bravi come Catello nastro, Peppino Stifani, Pietro Carbone ed altri, impegnati a recuperarne un mondo di insieme fatto di una sofferenza che produce umanità.
Catello Nastro, partendo dal ruolo di educatore, è poi fortemente cresciuto nel suo ruolo di etno-antropologo, scoprendo attraverso le cose perdute, i documenti e le tante testimonianze ritrovate, percorsi di vita cilentana prossimi ad essere dimenticati, perché sempre più indifferenti al progressivo ed inarrestabile cambiamento di una società cilentana in divenire, con le sue crescenti e diffuse caratteristiche di un fare fluido che, così come teorizzato da Zygmunt Bauman, andava velocemente e sempre più, annullandosi anche nel Cilento, in un fluido sociale che, come altrove, cammin facendo, è andata compiacendosi di perdere i collegamenti con l’umanità del passato, non fluido, ma in carne ed ossa, dove anche le sole testimonianze sono importanti storie di vita vissuta; sono la nostra storia a cui il presente ed ancor più il futuro, proprio non possono rinunciare, se vogliono diventare futuro.
Un territorio, come quello del Cilento, con alla base interessanti caratteristiche etno-antropologiche, va conservato al futuro; va conservato nella sua memoria e nelle testimonianze concrete di quello che fu.
Tanto, hanno fatto i genius loci del Cilento; tanto, ha fatto per decenni anche Catello Nastro che si è calato nelle diverse realtà cilentane scavando, raccogliendo, mettendo insieme materiali e testimonianze, sottraendo così alla dimenticanza del tempo ed all’indifferenza della gente, sempre più fortemente presa dai simboli di un mondo nuovo e smaniosamente impegnata a liberarsi del passato, tra l’altro, simbolo di sofferenze diffuse e di umanità negata.
Le cose vecchie, le tante testimonianze, oggi anche per il forte impegno di Catello Nastro, sono gli archivi della memoria cilentana; tanto, con ambienti-sacrari di un passato che, sarebbe oltre che un errore, un vero e proprio delitto cancellare, negando così al futuro le radici di un mondo che deve essere necessariamente conosciuto anche da quelli che verranno.
Da qui, l’importanza delle raccolte delle “cose vecchie”, parte di un passato che non c’è più; da qui, la necessità di conservare, affidando agli archivi delle memoria i documenti, le immagini, le tante testimonianze che fanno parte di un patrimonio comune.
Molti di questi materiali sono oggi custoditi nel mondo incantato delle “cose inutili”, costruito con grande amore da Catello Nastro, come angolo della memoria cilentana assolutamente da conservare al futuro.
Tanto, serve come non mai al Cilento; tanto, abbiamo, tra l’altro, ereditato dalle cose fatte per il Cilento da Catello Nastro; tanto, è necessario per tenere vivo anche sui nostri territori, quel filo sottile che unisce il passato al presente per poi diventare futuro.
Anche le “cose inutili” raccolte e conservate da Catello Nastro, sono parte del nostro futuro.
Oltre ad essere testimonianze importanti, sono fonti di saperi e di insegnamenti per riprendere nel Cilento, il cammino ormai interrotto dei vecchi mestieri e per ricercare innovando, condizioni di vita tali da garantire un futuro possibile ai tanti giovani, nati “a lu Cilientu”, ma costretti dalla vita a cercarsi altrove quel lavoro possibile anche nel Cilento, ma di fatto negato, per un fare condiviso ispirato al sentire comune del “non c’è niente da fare”.
Caro Catello questo è il Cilento che ci hai lasciato; un Cilento, purtroppo, dall’anima cancellata che, in affanno, proprio non riesce a trovare la strada giusta per cambiare e così rendere possibile il futuro sui territori sempre più, dal futuro negato.
Le tue “cose inutili”, purtroppo senz’anima ed indifferenti ai più, devono riavere un’anima, in quanto espressione di un passato del “tanno e mo” che rappresenta il filo conduttore del saggio pensiero popolare cilentano sempre attuale, anche se corre il grave rischio di essere cancellato da un fare sempre più fluido della società del divenire cilentano indifferente a tutto e che cerca di annullarsi, compiacendosi di perdere i collegamenti con l’umanità di un passato, umanamente vivo, di cui le tante testimonianze del Cilento da te raccolte ed affidate all’archivio della memoria, sono oggi parte della nostra storia; sono la nostra storia da scoprire e da vivere; sono la storia a cui per colpa della solitudine dell’indifferenza del presente ed ancora più del futuro che verrà, proprio non possiamo rinunciare.
Caro Catello, quante cose belle nella loro semplicità, aveva il mondo polare e contadino cilentano!
Prima di tutto, gli anziani della civiltà contadina avevano, da parte di tutta la comunità, un grande rispetto; un rispetto sacrale; era un riferimento importante per tutto l’insieme umano.
Al vertice della struttura sociale rappresentavano la saggezza ed il simbolo dell’umanità in cammino.
Gli anziani erano saggiamente considerati le radici dell’umanità; come le piante, si rinnovano da una generazione all’altra, rigenerando, attraverso i giovani, l’umanità del passato, con tanti capitoli di storia che in sé, è la nostra storia.
Catello Nastro, a parte tutte le altre cose, è un genius loci; un genius loci che ha lasciato il segno nel suo magico mondo delle “cose inutili”, ricco, di documenti, di fotografie e di testimonianze. Tra l’altro, nel suo piccolo angolo della sua CASA MUSEO, oltre alle tante interessanti e sempre vive cose, circondate dal fascino di musiche dell’anima, con i sigilli della carboneria, ci sono documenti importanti della Rivolta del Cilento del 1828 e del 1848; molte le riproduzioni di ritratti di martiri e patrioti del territorio cilentano.
A 75 anni Catello Nastro ci ha lasciati; solo qualche anno fa andava dicendo, ricordandolo a tutti, di essere come professore un pensionato della scuola, ma non della vita attivamente vissuta in una molteplicità di ruoli (scrittore, giornalista, critico d’arte, poeta, esperto di mobili antichi e delle tante cose vecchie cilentane).
Soprattutto, a queste che, oggi fanno parte dell’archivio della memoria cilentana, Catello Nastro ha saputo dare un’anima; la sua anima che non morirà mai.
Catello Nastro poeta, scriveva affidando ai suoi versi il suo mondo con alla base tanta sofferenza dell’anima, parte viva del suo intimo di poeta.
Non si preoccupava, scrivendo e/o poetando dei suoi lettori. Andava spesso, convintamente ripetendo che era “meglio un poeta senza lettori che un popolo senza poeti”.
Avevi tanta saggia ragione, nel pensare e nel dire queste cose. Nonostante il piacere crescente di dialogare con l’amico Catello, purtroppo, necessariamente, devo avviarmi alla conclusione.
Sono, dopo tutte le tante cose dette, al capolinea del mio parlare con e di Catello Nastro.
Voglio, concludendo, ricordare una sua Mostra sulla civiltà del Cilento del 2008 ad Agropoli, nel suo studio di Arte e cultura, oggi un luogo della memoria, ricco delle “cose inutili” tanto care a Catello Nastro, illuminato padre fondatore di questi luoghi incantati e carichi di saperi.
Una Mostra importante, saggiamente allestita, comprendente, tra l’altro, importanti testimonianze sulla rivolta del Cilento, con preziosi simboli di vita, legati alla schiavitù cilentana ed all’animo libertario dei cilentani che nel 1928 e nel 1948, con grande coraggio, tentarono di affrancarsi da una schiavitù barbara che ne offendeva nel profondo, le radici parmenidee dell’ESSERE, parte sempre viva dell’umanità cilentana di tutti i tempi.
Gli oggetti simbolo della Rivolta, tanto cari a Catello Nastro, esposti in quella importante rassegna erano due; un ceppo da carcerato ed un fucile a pietra focaia, detto a trombone, risalente alla fine del Settecento.
Caro Catello, sono necessariamente costretto a lasciarti. A lasciare ai tanti giusti del Cilento la tua biografia terrena di artista, di pensatore, di critico, di poeta, ricca soprattutto di umanità, di curiosità e di impegno, al fine di conoscere il mondo soprattutto attraverso il pensiero e le tante cose che ti circondavano e di cui, standoci a contatto, ti innamoravi a più non posso.
Ti lascio godendomi, con un forte piacere dell’anima, le tue cose antiche, di un passato senza tempo e solo apparentemente inanimate; con la tua umanità, hai saputo dare a questo mondo senz’anima, un’anima, per cui da “cose morte ed inanimate” da “cose perdute ed inutili”, sono oggi tra noi “cose vive”, parte di noi; sono cose dell’anima, di un passato che ci appartiene e che niente e nessuno, potrà mai cancellare; potrà mai privarci, offendendo la nostra dignità di uomini liberi.
Caro Catello ho tralasciato i tuoi 41 libri e le tante altre cose del tuo mondo. Ho cercato solo di ricordarti, soprattutto come uomo e pensatore dall’umanità profonda; ho cercato di scrivere del tuo ruolo importante come genius loci in un Cilento che, pezzo dopo pezzo, va perdendo la parte saggia di un passato che se ne va senza purtroppo lasciare traccia. Tanto, con un grave danno per il futuro Cilento.
Che fare? “Ririmo e pazziamo” “Magnano e vivimu a lu Cilientu”.
È questa la strada giusta; la strada a te, tanto cara e che hai lasciato in eredità al futuro del Cilento, un territorio dell’anima che, può salvarsi se le coscienze dei giusti sapranno riappropriarsi dei saperi dell’Essere, assolutamente necessari, per un mondo nuovo anche nel tuo, nel nostro CILENTO, caro all’umanità in quanto TERRA dell’ESSERE; Terra dei saperi eleatici, necessari per cambiare il futuro del mondo che non può assolutamente morire di solo AVERE-APPARIRE.

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